mercoledì 23 luglio 2008

Documento dei 4 Atenei della Emilia - Romagna contro i tagli del Governo all'Università

Noi non comprendiamo perché da qualche anno l'università venga considerata diversa rispetto al mondo della ricerca. L'università italiana è la sede primaria della ricerca non soltanto perché così vuole la legge, ma soprattutto perché questo corrisponde ad un dato di fatto, giacchè la grande maggioranza della ricerca scientifica nazionale è frutto del lavoro delle università.
Si tratta, per altro, di ricerca di qualità, come è testimoniato dai confronti internazionali sulla produttività scientifica dei nostri ambienti di ricerca e dai riconoscimenti dei valutatori stranieri. Tagli di bilancio così radicali come quelli previsti potrebbero produrre effetti disastrosi sulla nostra collocazione internazionale, sull'accesso dei giovani al mondo della ricerca, sulla fuoruscita in massa dei nostri migliori talenti, sulle condizioni stesse per uscire dalla crisi in cui si trova il Paese.
Ci sono limiti al di là dei quali la riduzione delle risorse disponibili generano soltanto la sensazione di un risparmio: ma di sola sensazione si tratta, se ciò che rimane non è in grado di assicurare la gestibilità e l'efficacia minima dell'intero sistema. Questa è la condizione che si dovrebbe prevedere dal 2010 in avanti.
Da quel momento non ci saranno più università virtuose poiché la forte riduzione del FFO a fronte di un incremento continuo della spesa per il personale porterà i bilanci di tutti gli atenei a varcare il limite del 90%. Paradossalmente la riduzione del FFO dovrebbe essere accompagnata da una riduzione della contribuzione studentesca.
Il contributo che in questi ultimi anni le università sono state chiamate a fornire al risanamento dei conti pubblici è stato rilevante: riduzione dei fondi PRIN, sostegno all'Alitalia, contratto degli autotrasportatori e soprattutto l'assorbimento, totale o parziale, del maggior costo annuo del personale che ha letteralmente messo in ginocchio i bilanci universitari. Sorprende la penalizzazione del trattamento economico del personale universitario che diviene insostenibile per il personale tecnico-amministrativo e per i ricercatori.
Ci siamo resi conto, ad esempio, che l'avere adottato una decisione così opportuna, in linea di principio, come quella dell'aumento delle borse per i dottorati di ricerca, senza avere calcolato che le risorse aggiuntive previste erano largamente insufficienti a sostenerla potrebbe dar luogo all'effetto contrario per l'impossibilità delle università di farvi fronte?
La questione del finanziamento del sistema universitario nazionale va affrontato sì con decisione ma anche con chiarezza di prospettive, di indicazioni politiche e di valutazioni sul ruolo che il nostro Paese intende giocare sulla scena internazionale. Essa va affrontata con l'obiettivo della riqualificazione della spesa degli atenei e non al solo scopo di costituire comunque e indiscriminatamente risorse da apportare all'alleggerimento del bilancio nazionale.
In questi ultimi tempi molti atenei hanno bilanciato l'incremento dei costi con interventi di contrazione del turn-over. Ora i risparmi della fortissima contrazione prevista verranno sottratti ai bilanci universitari, la cui composizione diventerà una impresa impossibile.
Nessuno nega che nel sistema universitario italiano vi siano spazi per ridurre gli sprechi. Le Università dell'Emilia-Romagna, in questi ultimi 10 anni, hanno responsabilmente affrontato questo problema e nel contempo hanno iniziato un'intensa attività a sostegno dell'innovazione e dello sviluppo territoriale, avviando processi che potrebbero essere lesi da questo quadro di restrizioni.
Appare inoltre evidente che le Università dell'Emilia-Romagna, che sono tra le più attrattive di tutto il Paese e che si sono segnalate per la qualità della loro offerta didattica e della ricerca scientifica, potrebbero venire profondamente segnate da tagli indiscriminati, che necessariamente porteranno a dover ridefinire il costo d'accesso alle università per gli studenti e per i servizi educativi.
Il risparmio va coniugato con la riqualificazione della spesa e gli interventi non possono colpire indiscriminatamente, senza alcuna attenzione cioè a chi ha gestito in questi anni le proprie risorse in modo responsabile.
Noi proponiamo che le riduzioni del FFO previste dal comma 13 dell'art. 66 siano destinate al conseguimento degli obiettivi di cui all'art. 2, comma 429 della L. 244/2007:
- elevare la qualità globale del sistema universitario e il livello di efficienza degli atenei
- rafforzare i meccanismi di incentivazione per un uso appropriato ed efficace delle risorse, con contenimento dei costi di personale a vantaggio della ricerca e della didattica
- accelerare il riequilibrio tra gli atenei
Al di là di queste proposte occorre prendere la strada di un vero patto di sviluppo e di riequilibrio tra Governo e sistema universitario. E' un patto che dovrebbe essere discusso nell'ambito Stato-Regione. In un periodo compreso tra 3 e 5 anni, si può offrire agli atenei più in difficoltà la possibilità di riallinearsi, e agli atenei oggi più solidi l'opportunità di mantenere e sviluppare i loro punti di forza. E' possibile farlo, il sistema non può più vivere senza un patto virtuoso del genere. Distribuendo lo sforzo di cambiamento lungo un periodo di pochi anni, è possibile fissare per gli atenei impegni precisi, monitorabili e individualizzati di riequilibrio e di sviluppo.
Il nostro Paese ha bisogno da tempo di un programma nazionale che punti a sostenere il ruolo sociale dell'università e il collegamento tra università e società e a integrare in un unico quadro i punti forti dello sviluppo di un paese avanzato: l'educazione, la ricerca e il trasferimento della conoscenza.
Proponiamo al Governo, in primis al Ministro per l'Università, l'apertura urgente di un tavolo nazionale di discussione e di progettazione degli interventi, in accordo e con la collaborazione con la CRUI. Abbiamo accolto con fiducia l'intervento del Ministro di venerdì 18 e la volontà espressa di aprire un tavolo di consultazione con CRUI, CUN e CNSU su cinque grandi missioni tra cui premiare le università "virtuose" in termini di qualità della ricerca e della didattica.
Chiediamo sia riconosciuta al sistema universitario la possibilità di andare oltre la giusta protesta per i tagli di bilancio, per individuare le misure concrete di sviluppo e di riequilibrio.
Non ci sembra lungimirante deprimere irreversibilmente ciò che necessariamente saremo chiamati a ricostruire dalle fondamenta.
Lo sviluppo del Paese dipende largamente dalla crescita delle attività ad alta tecnologia e dall'innalzarsi delle capacità di produzione culturale e quindi dall'alta formazione e dalla ricerca avanzata in tutti i campi delle conoscenze. Le esperienze realizzate dalle Università dell'Emilia-Romagna, i risultati ottenuti in tema di trasferimento tecnologico e avanzamento culturale, la vastissima rete internazionale di cui i nostri atenei sono parte trainante impongono una responsabilità che va ben oltre le mura delle nostre università. E' in gioco lo stesso futuro del nostro Paese.
In questo quadro, gli atenei della Regione Emilia-Romagna sono pronti a discutere questa prospettiva di uscita dall'emergenza, progettando insieme quel mix di collaborazione e competizione senza il quale difficilmente si uscirà con successo da questa difficile situazione.
Con questa riunione straordinaria congiunta abbiamo voluto testimoniare il ruolo che il sistema universitario dell'Emilia-Romagna intende, oggi, giocare per il futuro della Regione e del Paese, un ruolo di indispensabile protagonista dello sviluppo che passa attraverso le nostre funzioni: formazione, ricerca e trasferimento della conoscenza.

sabato 19 luglio 2008

Eluana, l’arroganza dei falsi esperti

Leggo il Corriere della Sera da molti anni e ho resistito imperterrito al suo ondivagare politico, alle sue cadute di stile e di gusto e persino a alcuni atti di maleducazione nei miei confronti. Una lettera come quella di Adriano Celentano sul caso Englaro, però, non l'avevo mai vista pubblicare. Penso che se fossi il Buondio mi sentirei in dovere di scrivere due righe all'autore della nefasta missiva («la ringrazio per l'affettuosa collaborazione, purtroppo ragioni di forza maggiore mi costringono a rinunciare ai suoi servizi...»). Non ce l'ho con Celentano ma con chi ne pubblica le confabulazioni e c con quella moltitudine di cittadini che per la semplice ragione di essere convinti dell'esistenza di un misterioso e poco benevolo essere supremo, vogliono imporre a altri (altrettanto numerosi) cittadini che non hanno il dono della fede, una serie di impressionanti limitazioni (alla loro libertà, ai loro diritti, alla loro dignità) sulla base di una improvvisata, improbabile, querula razionalità. Parliamone. Il quesito fondamentale che tutti si pongono è a chi appartengono vita e esistenza. La vita non è di nessuno, è e basta; a chi appartenga l'esistenza dipende invece dal punto di vista da cui le si attribuisce valore, perché è solo a seconda della quantità di questo valore che ci preoccupiamo del suo destino. Da uomo laico, sono interessato a essere libero di esistere, perché da questa libertà ne discendono altre, come quella di scegliere modo e momento di porre fine alla mia esistenza: perché il problema di un uomo laico è comunque sempre e soprattutto la libertà, se è vero che la laicità rappresenta l'atteggiamento intellettuale di chi considera essenziale la libertà di coscienza, intesa come libertà di credenza, conoscenza, critica e autocritica. Su questo tema, a chi appartenga la nostra esistenza ci riveliamo per quello che siamo, degli stranieri morali. Se l'esistenza ci è stata donata, prestata o data in enfiteusi, dobbiamo risponderne a qualcuno. Se è nostra, abbiamo diritto di disporne, compatibilmente con i debiti che abbiamo contratto con la società: perché se non esiste un traghettatore con il quale cercare un accordo, il problema è unicamente nostro, ce la dobbiamo sbrigare da soli. Ma qual è l'elemento più importante della nostra esistenza, quello al quale attribuiamo il maggior valore? La vita in sé, perché sacra e inviolabile e che dobbiamo rispettare e accettare comunque sia, qualsiasi cosa ci faccia, senza poterla ritenere responsabile delle nostre sofferenze? O possiamo apprezzarla diversamente e valutarla in rapporto a quanto ci concede? E cosa ci aspettiamo da lei per poterle assegnare un valore? Dignità? Qualità? E' una scelta complessa e non facile, l'unica cosa certa è che non c'è possibilità d'accordo su questo tema tra credenti e non credenti: è qui che entrano in campo le isole per stranieri morali perché ognuno di noi deve poter scegliere in assoluta libertà e lo stato questa libertà la deve garantire. L'alternativa, il prezzo che potremmo pagare è il conflitto sociale, la guerra di religione. Quando cerchiamo un rapporto «umano» con le altre persone, quando entriamo in comunicazione con loro, lo facciamo chiedendo alle nostre esistenze di dialogare. Non credo che qualcuno di noi dia particolare rilievo a come funziona l'intestino dei nostri amici: essi esistono perché sono in grado di pensare, comunicare, entrare in relazione con gli altri, soffrire e gioire, mettere in campo le proprie capacità cognitive; quando tutte queste capacità scompaiono per sempre, noi siamo costretti a ammettere che il nostro amico ha abbandonato il suo corpo, non lo abita più. Che in quel corpo ci sia ancora vita, che l'intestino abbia ancora movimenti peristaltici, che produca gas e feci, che la barba continui a crescere, sono epifenomeni della presenza di barlumi di vita ai quali non attribuiamo alcun valore, eventi che non ci aiutano neppure a considerare con minor dolore il fatto primario, il nostro amico ci ha lasciato, in quel corpo non abita più nessuno. Di quel contenitore vuoto la società può fare molte cose: è auspicabile che si comporti seguendo i desideri e le istruzioni espressi in vita dal nostro amico. Il rifiuto delle cure, se espresso da una persona capace di intendere, è un diritto protetto e garantito dalla Costituzione, non può essere messo in dubbio. Nel caso di Eluana Englaro si tratta però di sospendere cure già in atto, e il problema si connota subito per l'interferenza di argomenti pretestuosi e sgradevoli. Poiché nessuno ha il coraggio di dichiarare che esiste per Eluana una benché minima probabilità di ritorno allo stato cosciente (anche se di tanto in tanto qualcuno ha la faccia tosta di buttar là l'ipotesi di un sempre possibile miracolo), l'oggetto del contendere è diventata l'interpretazione del significato dell'alimentazione e dell'idratazione artificiali: atti medici o forme di assistenza ordinaria? Il Comitato nazionale per la bioetica ha votato a maggioranza (18 voti contro 8) un documento in cui si afferma che nutrire e idratare le persone in stato vegetativo persistente costituisce una forma di assistenza ordinaria di base e proporzionata, un segno di civiltà, un atteggiamento che assume un forte significato umano (immagino che entri come sempre in ballo la pietà, i cattolici sono monomaniaci) e simbolico, qualcosa che ha a che fare con la dimostrazione di «sollecitudine per l'altro». E sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiali ai pazienti in stato vegetativo persistente (come la signora Schiavo, che tra l'altro non aveva in pratica più il cervello, come provato dall'autopsia) è illecito. Qui si pone un problema molto serio. Tutto il mondo scientifico, tutte le società mediche che si occupano di questi temi sostengono che alimentazione e idratazione artificiali sono veri e propri atti medici che sottendono sofisticate e complesse conoscenze scientifiche e che solo i medici possono elaborare e mettere in atto. Chiedo a tutti questi esperti di fisiopatologia della nutrizione: chi vi dà il diritto di contestare la medicina e la scienza? Ritenete forse che ubbidire alle istruzioni del vostro Magistero giustifichi questa vostra sgradevole e odiosa arroganza? Chi vi autorizza a pontificare (!) su temi dei quali non sapete niente, con l'unico scopo di rivestire di sentimentalismi sciropposi le vostre personali opinioni? Questa è materia di sofferenza, che merita compassione, non vi sembra odiosa la sceneggiata con le bottiglie d'acqua minerale? Lo so, mi sono arrabbiato, non avrei dovuto: ma tollerare un Celentano mi è ancora possibile, mille Celentani no, proprio non ce la faccio. E poi questa opinione di molti cattolici sul significato dell'alimentazione, il fatto che si indichi, nel darmi da mangiare e da bere (anche nel modo così terribilmente tecnologico dei reparti di rianimazione), l'espressione del riconoscimento della mia umanità, mi insospettisce un po'. Non credo che accetterò mai un invito a cena da parte di Francesco D'Agostino, non vorrei che decidesse di nutrirmi per via intravenosa (o peggio).

di Carlo Flamigni

martedì 1 luglio 2008

“Oh no, ancora!”. Il duro editoriale del Financial Times contro Berlusconi

Silvio Berlusconi è al potere in Italia da quasi 50 giorni. Vedere il suo nuovo governo in azione è un po’ come sedersi a guardare ancora una volta un vecchio brutto film. Quando il leader di Forza Italia governò l’Italia dal 2001 al 2006, investì troppo tempo a legiferare per proteggere se stesso dalle inchieste e troppo poco per riformare la stagnante economia italiana. Ovviamente è troppo presto per esprimere giudizi netti. Ma l’ultima uscita di Berlusconi al governo ha già i tratti di un nuovo show dell’orrore.
Ancora una volta il 71enne premier investe molta della sua energia politica a legiferare per proteggersi dagli inquirenti italiani. Vuole passare una legge che sospenderebbe per un anno la maggior parte di casi giudiziari i cui reati comportano più di dieci anni di condanna. Se questa legge passasse farebbe naufragare un processo fissato per il prossimo mese nel quale Berlusconi è accusato di aver pagato 600.000 dollari al suo avvocato britannico David Mills. L’opposizione – non c’è bisogno di dirlo - l’ha ribattezzata “legge salva premier”.
Berlusconi non si ferma qui. Sta anche cercando di introdurre una legge che darebbe immunità dalle inchieste giudiziarie alle più alte cariche dello Stato, incluso lui stesso. Una legge siffatta sarebbe impensabile nella maggior parte dei paesi occidentali ed era stata ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale italiana l’ultima volta che Berlusconi cercò di introdurla nel 2004. Ora che Berlusconi è tornato al governo ci riprova.
Tutto ciò sarebbe di modesto interesse se Berlusconi spendesse la stessa energia per riformare la stagnante economia italiana. Ma pure su questo fronte i timori crescono. L’ultima volta che era al potere, uno dei peggiori errori fu di lasciare che il deficit e il livelli del debito uscissero fuori controllo. Ci si domanda se stiamo per assistere allo stesso scenario.
Il governo Berlusconi la scorsa settimana ha introdotto un piano finanziario che vedrà crescere il rapporto deficit pubblico/pil dall’1.9% del 2007 al 2,5% nel 2008. Un aumento che potrebbe essere giustificato dalla scarsa crescita economica, ma ancora non si vedono segnali che questo governo voglia mantenere una stretta sulla spesa pubblica.
Per il bene dell’Italia le cose devono migliorare da qui. Il paese ha uno dei tassi di crescita più lenti dell’eurozona. Ha bisogno di un’azione di governo seria e responsabile per far ripartire l’economia. Mercoledì scorso Berlusconi ha detto che i pm italiani l’hanno sottoposto ad un interminabile “calvario”. Ma l’unico calvario di questa vicenda è quello patito dall’Italia, che necessita di un drastico cambiamento del suo destino politico ed economico.