mercoledì 18 giugno 2008

Il modello europeo del 3+2 era una menzogna italiana

Da noi può succedere - come ci racconta Luciano Canfora - di varare un’intera riforma universitaria basata sulla laurea breve (3+2) allo scopo urgente e improcrastinabile di «adeguarci all’Europa», per poi scoprire che in Europa la consolidata realtà del 3+2 non c’era mai stata. Questi curiosi fenomeni visionari non sono, per la verità, infrequenti. Quale Europa conoscono i nostri giornalisti e i nostri politici? La questione è molto seria. Saper leggere nell’immaginario europeo della stampa italiana costituisce un passaggio essenziale nella Bildung del cittadino consapevole. Nel lontano 1994, studente all’università tedesca di Freiburg, mi capitò di leggere su “La Repubblica” un articolo di Miriam Mafai che perorava la causa dell’aumento delle tasse universitarie, per adeguarci, naturalmente, all’Europa. Con stupore lessi che, secondo la Mafai, «l' università italiana può vantare tre record in Europa: le tasse più economiche, i servizi più scadenti, il più basso tasso di efficienza. Le tasse universitarie oscillavano, fino al 1993, tra le trecento e le seicentomila lire: in nessun paese d' Europa (non parliamo poi degli USA !) si paga così poco per frequentare l'Università». (La Repubblica, 23.9.’94). Parole chiare e perentorie. Ricordo che allora questo genere di interventi riscuotevano unanime consenso. Da qualche tempo si era aperto «il dibattito nel Paese» sull’aumento delle rette universitarie. Si alternavano le posizioni. «Dobbiamo proprio adeguarci all’Europa?», si chiedeva qualcuno. E un altro gli rispondeva di sì, non senza dargli del fesso retrogrado. Ma può essere proprio la sinistra a voler aumentare le tasse universitarie? Certo! si rispondeva: aumentandole si va incontro (come non capirlo?) alle classi meno abbienti. Infatti, per prendere ancora la Mafai, che ripeteva un argomento allora molto in voga, «sono sempre gli stessi gruppi sociali che accedono all' Università, a spese, però, della collettività e di quei lavoratori dipendenti che pagano le tasse e i cui figli si iscrivono alle liste di collocamento appena finita la scuola media». Escluderli definitivamente, senza però ridurre, sia chiaro, le tasse che i loro padri hanno continuato a pagare per tutti, serviva, dunque, secondo questa tesi, a riparare un torto e a ridurre l’effetto perverso del nostro Stato sociale, «ammettendo, sia pure con qualche difficoltà che anche l'istruzione universitaria rientri nel Welfare». Così, per avvantaggiare i poveri, le tasse universitarie aumentarono e aumentarono. Delle tante facilitazioni per gli studenti che esistono in Europa non si vide, naturalmente, nemmeno l’ombra. Le università restarono, ovviamente, inefficienti. E anzi peggiorarono a vista d’occhio, per poi schiantarsi definitivamente dopo l’introduzione, da parte del centrosinistra, del 3+2 e di tutta l’annessa poltiglia di finte lauree brevi che sono servite solo come specchietto per le allodole, ovvero per incamerare le laute rette che gli studenti, ricchi e poveri, ma finalmente europeizzati, hanno dovuto pagare.Benvenuti in Europa? No. Perché in tutta Europa, e questa è la cosa davvero sconcertante, non esistevano allora – e quasi non esistono oggi – tasse universitarie! Capito? Le prime tasse, in Germania, si sono viste due anni fa. Nel lontano 1994, niente: tutto gratis. Per me, che studiavo nell’efficientissima università di Freiburg senza aver pagato nulla, seguire questo dibattito è stato rivelativo. La sinistra, quando Berlusconi era ancora agli albori del suo impegno politico, si era inventata da sola un’Europa severa e antisociale del tutto immaginaria. Ma a un certo punto la stampa nazionale cambiò misteriosamente registro. Il Corriere della sera (14 Ottobre 2003) si risolse a scrivere che Tony Blair, nonostante la tradizione inglese per la quale «la laurea, anche in prestigiosi atenei come Oxford o Cambridge, era sempre stata gratuita», aveva introdotto per la prima volta, con autentico cipiglio riformista, la possibilità di pagare delle rette di circa 1100 sterline annue. Dunque, anche in prestigiosi atenei come Oxford o Cambridge non si pagavano tasse d’iscrizione. E quale fondamento aveva allora lo psicodramma che anni addietro s’era celebrato in Italia? Si è forse fatto ammenda del fatto che il «dibattito nel Paese» è stato infarcito solo, nella migliore delle ipotesi, di sentito dire e di approssimazioni provinciali? No. Dovevamo prendere di nuovo esempio! Eppure, a guardare meglio, si sarebbe potuto credere di aver anticipato di qualche anno nientemeno che il riformismo di Blair. Abbiamo però sportivamente fatto finta di lasciare a Blair questo primato, forse anche per continuare ad offrire l’immagine di un’Europa da seguire, benché non la seguissimo affatto. E in realtà non l’abbiamo né seguita né anticipata. Quello che abbiamo fatto non ha semplicemente esempio in Europa. I dettagli qui sono importanti. La secondo riforma di Blair (che è riuscito a far passare nel gennaio del 2004 con uno scarto di quattro voti) porta la retta universitaria esigibile ad un tetto massimo di 3.000 sterline annue, ma - e questo è decisivo - gli studenti non debbono comunque versare del denaro all'inizio dei loro studi. I soldi delle rette devono essere restituiti allo Stato «entro quindici anni» dal conseguimento del titolo «e soltanto se si dispone di un reddito di almeno 15mila sterline l'anno. In pratica, se uno studente mette a frutto l'istruzione ricevuta e guadagna, salderà il debito; altrimenti non è costretto» (La Repubblica 25 Gennaio 2004). Si tratta di una misura che, come ognun vede, è cosa ben diversa dal mero innalzamento delle rette nostrano, perché non crea uno sbarramento economico in entrata. Inoltre, impone a quei professionisti che hanno studiato a spese di tutta la collettività (ma che possono poi chiedere parcelle esose) di contribuire al mantenimento delle università (e in modo, peraltro, sostenibile). Morale della favola, nonostante «il dibattito nel Paese» ci teniamo il 3+2, l’università più scassata, iniqua e baronale d’Europa, pagando in compenso un bel mucchio di soldi che in Europa, nella maggior parte dei casi, continuano a non pagare. Credo che questo fatto, non di piccolo rilievo, possa insegnarci molto, sia sulla «cultura» della sinistra italiana sia in generale sull’attendibilità della stampa. E quando ci dicono che così si fa Europa, informiamoci bene. Potremmo scoprire, come è toccato a Canfora, che è vero il contrario di quello che ci viene detto.

di Giovanni Perazzoli

sabato 14 giugno 2008

No all' aumento delle tasse universitarie !


Ancora una volta dobbiamo assistere ad una scellerata operazione di cassa degna solo del Principe Giovanni e dello sceriffo di Nottingham portata avanti con l'aumento delle tasse secco e netto deciso dal Consiglio d'Amministrazione dell'Ateneo.
Noi abbiamo sostenuto fin dall'inizio l'esigenza di creare un percorso agevolato per gli studenti lavoratori (come c'era scritto nel nostro programma: il 50% delle tasse annue e la possibilità di sostenere la metà degli esami) e la necessità di aggiornamento della fasciazione per la riduzione delle tasse che tenga in conto dell'aumento del costo della vita a Bologna e del calo del potere d'acquisto dei salari su scala nazionale .
Abbiamo contrastato con forza e convinzione la proposta di aumento delle tasse sostenendo che era necessario tagliare gli sprechi ed aumentare i servizi prima di poter chiedere agli studenti di dare il loro contributo, ma il CDA ha deciso a maggioranza (con il voto favorevole dei ciellini dello Student Office) di aumentare le tasse del 6% (ovvero 60-70 euro per ogni triennale, 250-300 euro per le magistrali e 274 euro per il ciclo unico di giurisprudenza).
E' scandaloso vedere un associazione di studenti universitari che rappresentano (o dovrebbero rappresentare?! il condizionale è d'obbligo...) quegli stessi studenti che vivono,spesso con grandi sacrifici delle loro famiglie,in una città costosa e sempre meno ospitale votare a favore dell'aumento delle tasse...
Ma è ormai ben chiaro che lo Student Office è asservito a logiche di sudditanza nei confronti delle aziende e delle cooperative del bussines universitario legate a Comunione e Liberazione.
Non possiamo che provare sdegno verso un classe dirigente d'Ateneo che vota determinati provvedimenti senza cercare il minimo compromesso con gli studenti.
Noi invece non cederemo mai a certe logiche ,continueremo a rappresentare gli studenti perchè siamo e vogliamo essere studenti tra gli studenti e credere ancora in un altra università più giusta, più solidale, più democratica e più sensibile al diritto allo studio.

venerdì 13 giugno 2008

TUTTI I DIRITTI PER TUTT* !!!

Come studenti di sinistra, come studenti laici, come studenti per le pari opportunità e contro ogni discriminazione, come studenti contro ogni vecchio e nuovo fascismo non possiamo che sostenere il Bologna Pride 08 per dire ancora una volta "Normali a chi?!" e per sostenere la cultura di un altro mondo di diritti e cittadinanza più che mai necessario e possibile.
Come si legge nel documento della manifestazione "Il Pride sarà un’occasione importante non solo per il movimento lgbt, ma per tutte le forze politiche e sociali che credono ancora che una società in cui tutte le cittadine e i cittadini abbiano pari dignità e pari diritti sia una società più giusta e democratica. Partecipare al Pride significa mettere in luce tematiche oscurate da forze politiche ed ecclesiastiche che utilizzano il sentimento religioso per impedire leggi contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia e in generale per impedire provvedimenti a favore dei diritti di lesbiche, gay, transgender e bisessuali."
Tutti al pride, tutti i diritti per tutt* !!!

sabato 7 giugno 2008

Berlusconi sale al Vaticano e il papa scende a palazzo Chigi

Il sogno berlusconiano si è compiuto: sulla via del monte Quirinale, il governo peggiore della storia italiana ha ricevuto la Cresima, officiante papa Benedetto XVI. Che clima primaverile e bucolico! Solo Virgilio avrebbe potuto celebrare l’idillio amoroso aggiungendo una undicesima bucolica alle dieci già esistenti. Che aria distesa! Se si chiudeva l’audio della tv (di Stato) era facile immaginare Melibeo e Titiro che descrivono il dolce tramonto romano, mentre umile e gaio si eleva nel terso cielo dell’Urbe il fumo dei camini! Che « clima cioioso» e festante per la nuova èra italo-vaticana. Il Tevere è ora biologico e le sue acque si possono bere tranquillamente senza più pericolo. La consacrazione e l’incoronazione hanno avuto successo e tutti vissero felici e contenti per la perfetta sintonia di vedute tra Governo e Vaticano. Firmate le transazioni economiche ancora sospese, come le scuole private, rimosso ogni sospetto di autonomia dello Stato, seppellita la nozione stessa di laicità, non ci resta che farci tutti preti e suore e finire gli ultimi giorni in convento o in sacrestia.

Berlusconi, dunque, è apparso al papa in tutta la lunghezza della sua piccola statura (dicono le cronache che per l’occasione abbia rinforzato i tacchi), fiato trattenuto per esprimere i pettorali, segno deciso di un governo decisionista. Come in tutti gli idilli, c’è un «però»: nessuno, però, si fidava del capo Narciso per lasciarlo solo col papa. Per la prima volta nella storia bimillenaria della diplomazia vaticano, il presidente italiano del consiglio dei ministri è accompagnato e assistito, anche durante l’udienza privata, da Gianni Letta, il cardinale Richelieu del caso. Tutti avevano paura del Narciso e delle sue solite gaffes. Il papa temeva che lo abbracciasse e dichiarasse di essere suo convivente di fatto. La curia aveva paura che si sedesse al posto del papa e si auto-proclamasse «Dio che manda in missione i suoi apostoli di partito». La casa pontificia che si travestisse da papa e presentasse il Benedetto come suo autista, oppure che scambiasse qualche prelato effeminato per una donna e la «distendesse» lì nei sacri palazzotti. Era necessario che l’uomo fosse guardato a vista con un cane da guardia accanto. Dicono le indiscrezioni che Gianni la Guardia avesse uno spillone per prevenire e, extrema ratio, una pistola da tasca per farlo fuori in caso di irreparabile necessità. Tutto però è andato bene: per il papa che ha ricevuto le chiavi del governo d’Italia, per Berlusconi che ha visto pompare il suo «super-ego» insaziabile, per tutti tranne che per l’Italia che ora dovrà pagare i conti a saldo.

Apprendiamo con compunto interesse che il cane da guardia, Mons. Gianni (per gli amici e la Segreteria di Sato), è stato insignito delle infule di «Gentiluomo di Sua Santità». Ora sappiamo che non vi sono solo atei devoti, ma anche atei gentiluomini di là e di qua dal Tevere. Questa nomina è significativa perché esprime una duplice fedeltà: il Gentiluomo del papa è anche sottosegretario del presidente del consiglio. A molti è sfuggita la mossa: ora a Palazzo Chigi governa Berlusconi che è governato dal Gianni-Richelieu, che è nominato Gentiluomo dal papa per conto del quale governa il governo delle banane. Las sua prossima nomina sarà: cardinale di Santa Ratzingheriana Chiesa.

Ci sentiamo completamente estranei a questa euforia e a questa, almeno per noi, invereconda sceneggiata: un papa che consacra un uomo come Berlusconi sarà certamente un capo di Stato che fa i suoi interessi, ma cessa di essere un Pastore (anche tedesco) in difesa del bene comune del suo popolo. Avrebbe dovuto dirgli: Non licet che tu ti arricchisca sulle debolezze della gente; non licet che tu vada in guerra; non licet che tu abbia fatto eleggere inquisiti e condannati anche per reati di mafia; non licet che un papa che è padre dei poveri e degli immigrati si presenti alle tv con te accanto: prima vai, vendi quello che hai, dàllo ai poveri, poi vieni e seguimi. Avrebbe dovuto, ma non lo ha fatto. Nonostante ciò, a noi non interessa la diplomazia, o il protocollo o la ragion di Stato, a noi interessa la simbologia dei gesti che parlano più di ogni discorso. Papa Giovanni, nel giorno dell’inizio del suo pontificato (28 ottobre 1958) disse: «Le altre qualità umane, la scienza, l’accorgimento, il tatto diplomatico, le qualità organizzative, possono riuscire di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo possono sostituire il compito di pastore».

di don Paolo Farinella


venerdì 6 giugno 2008