domenica 7 dicembre 2008

ADESIONE AL CONCENTRAMENTO PER LA DEPENALIZZAZIONE DELL'OMOSESSUALITA'

Rosso Malpelo e la Sinistra Universitaria aderiscono al concentramento di Martedi 9 Dicembre dalle 18.30 in Piazza Nettuno promosso dal Cassero per sostenere l'iniziativa dell'Italia di aderire alla proposta di depenalizzazione universale dell'omosessualità presso l'ONU.

Crediamo inoltre che debba fare riflettere seriamente la posizione del Vaticano, che si è detto contrario alla proposta. Nulla può giustificare l'opposizione alla cancellazione di una barbarie che produce incarcerazioni e sentenze di morte.

Link:

Cassero - Stop Vatican Attack: Support Homosexuality Decriminalization

mercoledì 3 dicembre 2008

Il Vaticano contro i gay: Il Migliore persecutore

Infernale Pessimo. Nel telegiornale di ieri sera - 1 dicembre - il bieco Cardinale Celestino Migliore, ambasciatore del Vaticano all’ONU, ci fornisce ennesima conferma delle linee spudorate che Ratzinger aveva tracciato già nel luglio 1992, indossando le celestiali vesti di Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede: depenalizzare l’omosessualità significa “promuoverla”. Dunque, pollice verso riguardo all’iniziativa francese per inserire il libero orientamento sessuale tra i diritti dell’uomo.
Resta soltanto da capire come mai questi “uomini con le gonne”, dalle voci in falsetto e dalle mani ingioiellate, arrivino a tale punto di avversione nei confronti di quanto il solito Ratzinger - questa volta nelle vesti paterne del vicario di Cristo - ha definito “comportamenti disordinati”. Per inciso: anche io ho figlie “disordinate” (nel senso che lasciano in giro per casa giornali e indumenti). Non per questo le condannerei all’incarcerazione e alla tortura.
Spudoratezza inarrivabile che ha solo una spiegazione: la disperata consapevolezza di quanto la sopravvivenza della propria istituzione (in cui è consentito a questi uomini con le gonne di esercitare il proprio efferato potere) dipenda dal mantenimento perinde ac cadaver dell’altrettanto declinante ordine gerarchico patriarcale.
Un potere efferato che si nutre promuovendo dolore umano, nei cui confronti tale istituzione pretende di essere l’agenzia monopolistica della consolazione post mortem.
Anche al prezzo di contraddire dottrinalmente i comportamenti concreti degli uomini con le gonne, la mala education di cui si fanno promotori. Quella suprema doppiezza che trasforma una congrega che copre torme di praticanti dei famosi “comportamenti disordinati” in persecutori degli omofili, in quanto sovversivi dell’ordine vigente.
Come chiunque abbia avuto esperienza diretta delle loro pratiche sa benissimo. Tanto per dire, allievo di un istituto tenuto da uomini con le gonne ricordo benissimo quanto ci ripetevamo tra studenti: mai accettare l’invito di Fratel Carlo quando vuol portarti in camera sua a vedere l’allevamento di canarini… mai confessarsi con il tale prete, ben noto per le sue avances imbarazzanti nel confessionale…
Le ripetute condanne nei tribunali di mezzo mondo per reati di pedofilia avrebbero dovuto indurre l’istituzione degli uomini con le gonne a maggiore prudenza, se non a un briciolo di autocritica. Per non parlare di cristiana comprensione. Ma tant’é…
Proprio vero: il dio acceca chi vuole trascinare alla rovina. E l’istituzione degli uomini con le gonne sta precipitando rovinosamente, anche grazie ai tipi alla Celestino Migliore. Il cui nome è soltanto un irridente (indecente) ossimoro.
Nel frattempo, di quanto dolore e sofferenze umane continueranno a farsi promotori?

di Pierfranco Pellizzetti

giovedì 27 novembre 2008

martedì 11 novembre 2008

Una missione per la politica

Sono in molti in Italia ad avere issato lo spinnaker sperando di gonfiarlo col ponente teso che spira dopo la vittoria di Barack Obama. Ma non basta usare vele con nomi anglosassoni e agitare le bandiere di "chi può" per tornare a essere politicamente competitivi. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha di fronte a sé un'agenda obbligata e margini di manovra molto ristretti. Ha vinto con un programma meno radicale di quello di Hillary Clinton. Né si intravedono sin qui quei grandi cambiamenti nelle coalizioni di governo, i cosiddetti "political realignments", che preludono alle grandi svolte nella politica americana. I ripetuti messaggi di continuità con l'amministrazione Bush lanciati nella prima conferenza stampa da presidente degli Stati Uniti in pectore sono indicativi.
Investire sul futuro di Obama è perciò un'impresa ad alto rischio. Molto meglio investire sul passato di Obama, sulla sua incredibile campagna elettorale, fatta di primarie vere, dall'esito spesso imprevedibile perché molto più partecipate che in passato, e di internet, come strumento di comunicazione e di finanziamento. Abbiamo molto da imparare dal candidato Obama nel migliorare i processi di selezione della classe politica all'interno del nostro paese.
Il suo "yes, we can" è soprattutto un riconoscimento alla democrazia di internet, alla sua capacità di moltiplicare il potere delle idee, al di là, se non contro, i grandi mezzi di comunicazione. Ma internet non sarebbe bastato se non ci fossero state regole che permettono una vera competizione all'interno dei partiti, aperta anche a chi sta fuori dall'establishment.
Chi vuole raccogliere la bandiera di Obama deve accettare queste regole, deve permettere una vera competizione nel mercato del lavoro dei politici. Ne abbiamo disperato bisogno. I problemi del nostro paese sono in gran parte problemi di inadeguatezza della nostra classe dirigente, a partire dalla classe politica.
Nel passaggio dalla Prima alla seconda Repubblica il processo di selezione della nostra classe politica è solo peggiorato. Una volta esistevano i partiti di massa che svolgevano al loro interno la selezione. Contavano le decisioni dei vertici, ma anche i militanti potevano dire la loro. Difficile essere candidato senza il gradimento della base, anche in un collegio elettorale sicuro. Poi i partiti di massa si sono sgonfiati, il rapporto fra militanti ed elettori è crollato, e sono rimasti quasi solo i capi partito a selezionare la classe politica.
Il loro potere è sopravvissuto alla crisi dei partiti, in alcuni casi si è addirittura rafforzato grazie alla crisi dei partiti, come dimostrano i tanti one-man party che sono fioriti negli ultimi anni.
Cosa ha dato a questi comandanti senza esercito tanto potere? Sicuramente il finanziamento pubblico dei partiti che ha messo ingenti risorse a disposizione delle segreterie. Ma anche regole elettorali, come le liste bloccate, che hanno reso autocratica la selezione dei politici. Come è stato usato tutto questo potere dai segretari dei partiti? Male, molto male, almeno dal nostro punto di vista. Abbiamo avuto parlamentari sempre più vecchi e sempre meno istruiti, come documentano i dati raccolti da un gruppo di ricercatori coordinati da Antonio Merlo dell'Università della Pennsylvania (www. frdb. org). La quota femminile è rimasta più o meno la stessa. Sono, invece, aumentate le cooptazioni all'interno della classe dirigente: la quota di manager tra i nuovi parlamentari, ad esempio, è costantemente cresciuta fino a toccare il record nelle ultime elezioni, con un manager ogni quattro nuovi eletti.
La candidatura di qualcuno dell'establishment rientra spesso in uno scambio di favori. Meglio se il candidato è inesperto e non intende fare carriera in politica. Anche a costo di sguarnire le commissioni parlamentari, è bene tarpare le ali a potenziali concorrenti. Fatto sta che in Italia c'è una fortissima rotazione nei parlamentari: un deputato su tre rimane in carica per un solo mandato, contro, ad esempio, uno su cinque negli Stati Uniti. E' un bene? Niente affatto. La politica è una professione impegnativa, si impara facendo.
Oggi l'Italia è dominata da un gruppo ristretto di politici a vita che danno l'illusione del ricambio permettendo a innocui "volti nuovi" di entrare a Montecitorio o a Palazzo Madama. Non si investe in nuovi parlamentari. Né i nuovi parlamentari investono in una carriera tra gli scranni: semmai il Parlamento diventa un parcheggio, una pausa in cui coltivare reti di relazioni utili per il dopo.
Il tutto avviene, ovviamente, a carico dei contribuenti. Ed è un carico elevato dato che gli stipendi dei parlamentari sono aumentati a tassi da boom economico (+4% l'anno) dal 1980 ad oggi, mentre il Paese entrava progressivamente in una lunga fase di stagnazione. La nostra ben pagata pattuglia al Parlamento Europeo è storicamente quella coi tassi di rotazione più alti dell'Unione: addirittura un parlamentare su tre lascia prima della fine del suo mandato. E' un mestiere complicato quello del parlamentare europeo. Quando si comincia a imparare qualcosa, si sono già fatte le valige, meglio i bauli, del rimpatrio.
I cappellini pro-Barack sono "one size fits most", una taglia va bene per molti, ma non per tutti. Chi vuole metterseli in testa deve accettare di cambiare le regole di selezione della classe politica. Basta col finanziamento pubblico dei partiti. Basta con le liste bloccate. Meno parlamentari e, quei pochi, scelti con cura dalla base dei partiti nell'ambito di primarie vere, il cui esito non è precostituito dalle segreterie. C'è qualcuno lassù disposto a raccogliere questa sfida?

Tito Boeri

domenica 9 novembre 2008

LEZIONI IN PIAZZA SANTO STEFANO... verso il 14 novembre


Rosso Malpelo continua la lotta, per tenere viva l'attenzione degli studenti e della cittadinanza in vista del 14 novembre!
Ecco di seguito il programma per la prossima settimana riguardo le Lezioni in Piazza...


LUNEDI'
H 12 - prof. Patrizia DOGLIANI
docente di Storia Contemporanea
“Storia dei giovani, storia delle generazioni, storia degli studenti. Un dibattito storiografico e sociale nell'Italia contemporanea”
H 14 - prof. Paolo CAPUZZO
Docente di Storia Contemporanea
“Modelli di consumo e modernita’”

MARTEDI'
H 11 - prof. Fabrizio FRASNEDI
docente di Linguistica Italiana
H 12 - prof. Gian Mario ANSELMI
docente di Letteratura Italiana


MERCOLEDI'
H 11- prof. Andrea BATTISTINI
docente di Storia Contemporanea
H 16 - prof. Fabrizio LOLLINI
Docente di Storia dell’Arte Medievale
“L'invenzione del Medioevo - ovvero che senso ha la ricerca nella storia dell'arte”


GIOVEDI'

H 11 - prof. Carlo GENTILI
Docente di Estetica

In caso di pioggia le lezioni si svolgeranno sotto i portici della piazza, lato Corte Isolani.


NON MANCATE!!!


venerdì 7 novembre 2008

Caschi, passamontagna e bastoni

Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos. La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti. AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile.
Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.
Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.
Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse.
Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".
Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".
Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un' intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì".
È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".
Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.
Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.
A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".

Curzio Maltese

mercoledì 5 novembre 2008

LEZIONI IN PIAZZA SANTO STEFANO

- giovedì 6 novembre ore 11, la professoressa Tomasi, ricercatrice di informatica per le scienze umane, parlerà del lavoro del ricercatore e delle difficoltà ad esso connesse.

- giovedì 6 novembre ore 13, i professo
ri Neri e Tosi effettueranno una lezione di letteratura greca.

Vi aspettiamo numerosi, la contestazione non si può fermare ora!

FACCIAMOCI SENTIRE

venerdì 17 ottobre 2008

Il consiglio di Facoltà del 16 ottobre : cronistoria di una vittoria della rappresentanza

Cari Compagni e simpatizzanti,

come ben saprete la Facoltà in questi giorni è occupata dai collettivi e l'assemblea promossa dagli occupanti è stata al centro dell'attenzione di tutti i mezzi di stampa e di molti di noi .
Siamo felici che nel corso dell'assemblea studentesca del 15 Ottobre in Aula III ,anche grazie alla partecipazione di tanti ragazzi come Tommy , Alba e tanti altri, la didattica non è stata bloccata ed è stato possibile aprire il dialogo con gli organi accademici della Facoltà perchè questa si pronunciasse contro i tagli ,il blocco del turnover e gli altri provvedimenti scellerati di questo governo sull'Università.
Rosso Malpelo ha costruito le condizioni perchè il Consiglio di Facoltà (CdF) metesse all'ordine del giorno la discussione in merito e accogliesse una delegazione dell'assemblea degli occupanti , abbiamo poi presentato in CdF un nostro documento che era stato inviato giorni prima a tutti i presidenti di corso di laurea e abbiamo partecipato alla discussione perchè il CdF si esprimesse con forza ed abbiamo ottenuto una netta condanna dei provedimenti della Gelmini e una Plenaria di Facoltà per il 23 Ottobre che dia a tutti gli studenti ,i ricercatori e i docenti la possibilità di costruire momenti di discussione e mobilitazione comune , perchè assieme siamo più forti.

Il Rettore Pier Ugo Calzolari ha ricordato attraverso la stampa che il Senato bocciò già a Luglio i provvedimenti del Governo e nella riunione congiunta di Senato e Consiglio d'Amministrazione.

NO ALLE LEGGI CONTRO L'ISTRUZIONE PUBBLICA !!!

lunedì 6 ottobre 2008

IL GRANDE LEBOWSKI

Cineforum !!!!

Car* compagn* e simpatizzant*,

ricomincia il tradizionale appuntamento del cineforum che si svolge come ogni anno
in Via Mascarella 86 ogni martedi dalle 21 .

Vi aspettiamo numerosi !!!

giovedì 18 settembre 2008

Matricole alla riscossa !!!

Sei appena sceso dal treno e vorresti subito risalirci sù ?
Ti senti impreparato e sperduto ?
Non sai come compilare il tuo piano studi ?
Non sai dove trovare i libri per i tuoi corsi ?

DONT' WORRY !!!

Passa a ritirare la controguida all'ateneo e alla città
e la controguida alla facoltà di Rosso Malpelo
al circolo di sinistra universitaria in via belle arti 20c e
troverai un mondo di consigli e aiuti preziosi .
Vieni e non te ne pentirai !!!

NO AI TAGLI !!!

Car* compagn* e simpatizzant*

quest'autunno si preannuncia caldo e denso di avvenimenti per chi come noi non vuole proprio chinare la testa di fronte alla distruzione frontale del sistema educativo italiano .
Siamo di fronte ad un assalto al sistema scolastico ed universitario tale da farci rmpiangere la controriforma della Moratti : con i provvedimenti della Gelmini si attacca l'obbligo scolastico,si licenziano i precari ,si tagliano 150.000 posti di lavoro e si fanno ben 8 miliardi di tagli al comparto dei saperi e della conoscenza .
Quest'autunno saremo impegnati a far passare un idea diversa di università e di mondo della conoscenza a partire dalla nostra facoltà e dalle nostre vite, perchè l'Italia ha bisogno di una scuola e di un università di qualità e noi meritiamo un futuro in cui mettere a frutto le nostre capacità e le nostre competenze di educatori.

Noi non siamo il problema, ma la risposta !!!

domenica 7 settembre 2008

sabato 9 agosto 2008

Lettera aperta al Papa

Oggi, 25 luglio 2008, la Chiesa cattolica celebra il 40º anniversario della Humanae Vitae, su cui le gerarchie cattoliche hanno fondato la politica di opposizione alla contraccezione, che ha avuto effetti catastrofici sui poveri e i deboli di tutto il mondo, mettendo in pericolo la vita delle donne ed esponendo milioni di persone al rischio di contrarre l’HIV.
Quando Papa Paolo VI, nel 1968, consolidò la proibizione della contraccezione da parte delle gerarchie cattoliche, ignorò il parere di un gruppo di esperti scelti da lui stesso.
Quel gruppo di esperti, la Commissione sul Controllo delle Nascite, aveva votato a grande maggioranza la raccomandazione che la Chiesa abrogasse la proibizione della contraccezione artificiale, affermando che non era “intrinsecamente malvagia” e che le precedenti posizioni in materia non erano infallibili.
Sebbene Papa Paolo chiamasse 15 vescovi per la produzione del rapporto conclusivo, anche questi si fecero convincere dalla logica degli argomenti a favore della contraccezione, votando a favore della nuova posizione.
Venne preparato un “rapporto di minoranza”, nel quale si affermava che la dottrina sulla contraccezione non poteva cambiare, non per una qualche ragione specifica, ma perché le gerarchie cattoliche non potevano ammettere di essersi sbagliate: «La Chiesa non può cambiare la propria risposta, perché tale risposta è vera… È vera in quanto la Chiesa cattolica, istituita da Cristo… non avrebbe potuto sbagliare così gravemente per tutti i secoli della sua storia». Il documento proseguiva affermando che se le gerarchie avessero ammesso di essere state in errore su questo punto, la loro autorità sarebbe stata messa in discussione su tutte le “questioni morali”.
La Humanae Vitae continua a essere fonte di grandi conflitti e divisioni all’interno della Chiesa. Cattolici e non cattolici continuano a subire le conseguenze di questa devastante politica delle gerarchie cattoliche.
Gli effetti di questa proibizione sono stati particolarmente disastrosi nel sud del mondo, ove le gerarchie cattoliche esercitano una considerevole influenza sulle politiche di pianificazione familiare di numerose nazioni, ostacolando la messa in atto di buone politiche di sanità pubblica sulla pianificazione familiare e la prevenzione dell’infezione da HIV.
Tuttavia, la Humanae Vitae influenza le scelte di politica sanitaria pubblica anche nel nord del mondo. Quest’anno, l’azione di lobby della Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti sul Congresso statunitense è riuscita a far escludere vitali servizi di pianificazione familiare, volti a impedire la trasmissione dell’HIV da madre a figlio, dal Piano Presidenziale di Emergenza per l’AIDS.
È incontestabile che la Humanae Vitae ha mancato completamente l’obiettivo di convincere i cattolici a rinunciare ai moderni metodi contraccettivi. Studi condotti in tutto il mondo hanno rilevato che i cattolici fanno uso della contraccezione e appoggiano l’utilizzo dei preservativi come mezzo per arginare la diffusione dell’HIV. La proibizione è tuttavia riuscita a impedire a molte donne e uomini di tutto il mondo di avere accesso a metodi affidabili di pianificazione familiare e di ottenere preservativi.
Ci è chiaro che la Chiesa cattolica non potrà progredire fino a quando non avrà fatto onestamente i conti col paradosso della Humanae Vitae: la maggior parte dei cattolici fa uso di contraccettivi moderni, ritenendola una scelta morale e considerandosi cattolici a pieno titolo, eppure le gerarchie cattoliche negano completamente questa realtà, costringendo i sacerdoti al silenzio su questo come su molti altri temi legati alla sessualità. Questi ultimi 40 anni hanno visto l’irrigidirsi della posizione del Vaticano mentre il mondo passava a una visione diversa e più ampia della sessualità e del ruolo della donna nella società. Papa Paolo VI non riuscì a invertire la marcia dei tempi 40 anni fa, ed è improbabile che un altro papa possa riuscirci in futuro. Ma fin quando le gerarchie ecclesiastiche continueranno a provarci, molti, e in particolare molte donne nei paesi più poveri, continueranno a soffrire.
Papa Benedetto, noi La invitiamo a sfruttare questo anniversario come occasione per avviare un processo di riforma, restando fedele agli aspetti positivi della dottrina cattolica sulla sessualità e abrogando la proibizione sulla contraccezione onde consentire ai cattolici di pianificare la propria vita familiare in modo sicuro e in buona coscienza.

Catholics for Choice A Critical Mass: Women Celebrating Eucharist – USA Association for the Rights of Catholics in the Church – USA Call to Action – USA Catholic Women’s Ordination – UK Catholics for a Changing Church – United Kingdom Catholics for a Free Choice – Canada Catholics for the Spirit of Vatican 2 – USA Católicas pelo Direito de Decidir – Brasil Católicas por el Derecho – a Decidir – Bolivia Católicas por el Derecho a Decidir – Buenos Aires Católicas por el Derecho a Decidir – Chile Católicas por el Derecho a Decidir – Colombia Católicas por el Derecho a Decidir – Córdoba Católicas por el Derecho a Decidir – El Salvador Católicas por el Derecho a Decidir – España Católicas por el Derecho a Decidir – México Católicas por el Derecho a Decidir – Nicaragua Católicas por el Derecho a Decidir – Paraguay Centro Bartolomé de las Casas – El Salvador Chicago Women-Church – USA Chrétiens sans Frontières de Gironde – France Colectivo Rebeldía Santa Cruz – Bolivia Comité Oscar Romero – Chile Comunidad Santo Tomás de Aquino – Spain CORPUS, National Association for an Inclusive Ministry – USA David et Jonathan—Association Homosexuelle Chrétienne Ouverte à Tous – France Demain l’Eglise – France Dignity USA Droits et Libertés dans les Eglises/Femm es et Homm es en Eglise – France Espérance 54 en Meurthe et Moselle – France European Forum of LGBT Christian Groups European Network Church on the Move Gehuwd en Ongehuwd Priesterschap – Netherlands KerkHardop – Netherlands Landelijk Koördinatie Punt Groepen Kerk en Homoseksualiteit – Netherlands Mandragora/Netmal – Brazil Mariënburgvereniging – Netherlands Movimiento También Somos Iglesia – Chile National Coalition of Am erican Nuns – USA New Ways Ministry – USA Noi Siamo Chiesa – Italy Nos Somos Igreja – Portugal Nous Somm es Aussi l’Eglise – France Pax Christi Maine – USA Plein Jour – France Red Latinoamericana de Católicas por elDerecho a Decidir Réseaux Résistances – Belgium Roman Catholic Women Priests – Europe-West Roman Catholic Women Priests – Canada Est Roman Catholic Women Priests – Canada West San Francisco Bay Area Women-Church – USA Southeastern Pennsylvania Women’s Ordination Conference – USA Stichting Kerk Hardop – Netherlands Stichting Magdala—Voor Vrow en Priester – Netherlands Voice of the Faithful/New Jersey – USA Werkplaats voor Theologie en Maatschappij – Belgium Women’s Alliance for Theology, Ethics and Ritual (WATER ) – USA Women’s Ordination Conference – USA Women-Church Baltimore

martedì 5 agosto 2008

Eluana non appartiene a Ratzinger

La frase del giorno (da destra): "Denunciamo e respingiamo l'esproprio da parte della magistratura della funzione legislativa propria del Parlamento".
L'altra frase del giorno (da sinistra): "Un fermo no a qualsiasi forma di eutanasia. Vogliamo Eluana viva."

Bisogna sapere che circa 500 membri della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana il giorno 31 luglio, ultima ora di una giornata carica di impegni arretrati come in uno di quegli uffici cari a Brunetta (sono stati approvati e trasformati in legge trattati firmati nel 1999, nel 2002, nel 2005 con paesi che avevano approvato quel trattato il mese dopo e che avranno già dimenticato di avere un impegno con l'Italia), hanno pensato bene di dedicare un'oretta frivola, fatta di dichiarazioni senza senso e di finte declamazioni su diritto alla vita, alla questione Eluana Englaro.

Quale questione? La Corte di Cassazione ha sentenziato che il padre di Eluana può chiedere ai medici di interrompere il sostegno forzato a una irreversibile stato vegetativo che dura da sedici anni. Come respingere una sentenza di civiltà? C'è un percorso. Folle, ma c'è.

S'intende che si sono ascoltate macabre arringhe del Popolo della Libertà (pronunciate a Montecitorio da ex avvocati di seconda fila e non da clinici al capezzale) secondo cui, dopo quasi due decenni, la destra prevede e si aspetta il risveglio. Ma l'espediente è il seguente: è vero che Camera e Senato, la sua destra, e i suoi crudeli credenti di destra e sinistra, non hanno mai legiferato, e che anzi, una maggioranza trasversale di deputati e senatori Vaticani, ha impedito tutto in materia di fine della vita, compreso il Testamento Biologico, attraverso la trovata di bollare tutto come "eutanasia".

Ma questo Parlamento non solo esige il blocco di ogni legge. Esige anche il blocco di ogni sentenza. Ovvero io non faccio la legge. E tu - Giudice - devi dire: "Che peccato, io l'avrei una decisione da prendere per una simile tragedia che inchioda il padre per sedici anni al capezzale della figlia spenta per sempre. Ma non posso farne una sentenza perché loro (deputati e senatori) non hanno voluto farne una legge. E io, senza legge, non parlo".

In questo modo il blocco dura per sempre. E il Santo Padre è servito. Solo quello che dice Lui è legge. Per gli altri basta astenersi e tacere. E per chi cade nella tragedia di Eluana e del padre di Eluana, fatti loro. Ci mancherebbe che deputati e giudici debbano farsi carico dei dolori del mondo. E così una danza macabra ha avuto luogo a metà giornata nell'Aula della Camera dei Deputati, il 31 luglio.

Invano qualche laico e qualche giurista hanno tentato di riportare il Parlamento a un comportamento più decoroso. La vergogna infatti sta nell'idea di un Parlamento - Camera e Senato - che denuncia un giudice e la sua sentenza alla Corte Costituzionale con l'espediente: niente legge (non la faremo mai), niente sentenza (benché il giudice abbia avuto il coraggio di farla ispirandosi ai fondamenti del diritto della Costituzione e della civiltà democratica).

La vergogna sta nella conclusione. Dopo il Senato anche la maggioranza della Camera ha votato la denuncia di una sentenza civile e coraggiosa di un giudice che ha scelto di dire "Qui qualcuno deve decidere. Basta gioco sul dolore".

Ma la vergogna continua quando si apprende che anche la Procura Generale ha impugnato la sentenza, bloccandone l'esecuzione (il Parlamento non poteva) facendo proprie, alla lettera, le ragioni vaticane della Chiesa e del Parlamento, stessi concetti, stesse parole.

La lezione è tremenda. Dice in modo perentorio "ERGA OMNES":
NON ILLUDETEVI.
NON C'E UNA CIVILE VIA D'USCITA.
NON IN ITALIA.
NON OGGI.

di Furio Colombo

mercoledì 23 luglio 2008

Documento dei 4 Atenei della Emilia - Romagna contro i tagli del Governo all'Università

Noi non comprendiamo perché da qualche anno l'università venga considerata diversa rispetto al mondo della ricerca. L'università italiana è la sede primaria della ricerca non soltanto perché così vuole la legge, ma soprattutto perché questo corrisponde ad un dato di fatto, giacchè la grande maggioranza della ricerca scientifica nazionale è frutto del lavoro delle università.
Si tratta, per altro, di ricerca di qualità, come è testimoniato dai confronti internazionali sulla produttività scientifica dei nostri ambienti di ricerca e dai riconoscimenti dei valutatori stranieri. Tagli di bilancio così radicali come quelli previsti potrebbero produrre effetti disastrosi sulla nostra collocazione internazionale, sull'accesso dei giovani al mondo della ricerca, sulla fuoruscita in massa dei nostri migliori talenti, sulle condizioni stesse per uscire dalla crisi in cui si trova il Paese.
Ci sono limiti al di là dei quali la riduzione delle risorse disponibili generano soltanto la sensazione di un risparmio: ma di sola sensazione si tratta, se ciò che rimane non è in grado di assicurare la gestibilità e l'efficacia minima dell'intero sistema. Questa è la condizione che si dovrebbe prevedere dal 2010 in avanti.
Da quel momento non ci saranno più università virtuose poiché la forte riduzione del FFO a fronte di un incremento continuo della spesa per il personale porterà i bilanci di tutti gli atenei a varcare il limite del 90%. Paradossalmente la riduzione del FFO dovrebbe essere accompagnata da una riduzione della contribuzione studentesca.
Il contributo che in questi ultimi anni le università sono state chiamate a fornire al risanamento dei conti pubblici è stato rilevante: riduzione dei fondi PRIN, sostegno all'Alitalia, contratto degli autotrasportatori e soprattutto l'assorbimento, totale o parziale, del maggior costo annuo del personale che ha letteralmente messo in ginocchio i bilanci universitari. Sorprende la penalizzazione del trattamento economico del personale universitario che diviene insostenibile per il personale tecnico-amministrativo e per i ricercatori.
Ci siamo resi conto, ad esempio, che l'avere adottato una decisione così opportuna, in linea di principio, come quella dell'aumento delle borse per i dottorati di ricerca, senza avere calcolato che le risorse aggiuntive previste erano largamente insufficienti a sostenerla potrebbe dar luogo all'effetto contrario per l'impossibilità delle università di farvi fronte?
La questione del finanziamento del sistema universitario nazionale va affrontato sì con decisione ma anche con chiarezza di prospettive, di indicazioni politiche e di valutazioni sul ruolo che il nostro Paese intende giocare sulla scena internazionale. Essa va affrontata con l'obiettivo della riqualificazione della spesa degli atenei e non al solo scopo di costituire comunque e indiscriminatamente risorse da apportare all'alleggerimento del bilancio nazionale.
In questi ultimi tempi molti atenei hanno bilanciato l'incremento dei costi con interventi di contrazione del turn-over. Ora i risparmi della fortissima contrazione prevista verranno sottratti ai bilanci universitari, la cui composizione diventerà una impresa impossibile.
Nessuno nega che nel sistema universitario italiano vi siano spazi per ridurre gli sprechi. Le Università dell'Emilia-Romagna, in questi ultimi 10 anni, hanno responsabilmente affrontato questo problema e nel contempo hanno iniziato un'intensa attività a sostegno dell'innovazione e dello sviluppo territoriale, avviando processi che potrebbero essere lesi da questo quadro di restrizioni.
Appare inoltre evidente che le Università dell'Emilia-Romagna, che sono tra le più attrattive di tutto il Paese e che si sono segnalate per la qualità della loro offerta didattica e della ricerca scientifica, potrebbero venire profondamente segnate da tagli indiscriminati, che necessariamente porteranno a dover ridefinire il costo d'accesso alle università per gli studenti e per i servizi educativi.
Il risparmio va coniugato con la riqualificazione della spesa e gli interventi non possono colpire indiscriminatamente, senza alcuna attenzione cioè a chi ha gestito in questi anni le proprie risorse in modo responsabile.
Noi proponiamo che le riduzioni del FFO previste dal comma 13 dell'art. 66 siano destinate al conseguimento degli obiettivi di cui all'art. 2, comma 429 della L. 244/2007:
- elevare la qualità globale del sistema universitario e il livello di efficienza degli atenei
- rafforzare i meccanismi di incentivazione per un uso appropriato ed efficace delle risorse, con contenimento dei costi di personale a vantaggio della ricerca e della didattica
- accelerare il riequilibrio tra gli atenei
Al di là di queste proposte occorre prendere la strada di un vero patto di sviluppo e di riequilibrio tra Governo e sistema universitario. E' un patto che dovrebbe essere discusso nell'ambito Stato-Regione. In un periodo compreso tra 3 e 5 anni, si può offrire agli atenei più in difficoltà la possibilità di riallinearsi, e agli atenei oggi più solidi l'opportunità di mantenere e sviluppare i loro punti di forza. E' possibile farlo, il sistema non può più vivere senza un patto virtuoso del genere. Distribuendo lo sforzo di cambiamento lungo un periodo di pochi anni, è possibile fissare per gli atenei impegni precisi, monitorabili e individualizzati di riequilibrio e di sviluppo.
Il nostro Paese ha bisogno da tempo di un programma nazionale che punti a sostenere il ruolo sociale dell'università e il collegamento tra università e società e a integrare in un unico quadro i punti forti dello sviluppo di un paese avanzato: l'educazione, la ricerca e il trasferimento della conoscenza.
Proponiamo al Governo, in primis al Ministro per l'Università, l'apertura urgente di un tavolo nazionale di discussione e di progettazione degli interventi, in accordo e con la collaborazione con la CRUI. Abbiamo accolto con fiducia l'intervento del Ministro di venerdì 18 e la volontà espressa di aprire un tavolo di consultazione con CRUI, CUN e CNSU su cinque grandi missioni tra cui premiare le università "virtuose" in termini di qualità della ricerca e della didattica.
Chiediamo sia riconosciuta al sistema universitario la possibilità di andare oltre la giusta protesta per i tagli di bilancio, per individuare le misure concrete di sviluppo e di riequilibrio.
Non ci sembra lungimirante deprimere irreversibilmente ciò che necessariamente saremo chiamati a ricostruire dalle fondamenta.
Lo sviluppo del Paese dipende largamente dalla crescita delle attività ad alta tecnologia e dall'innalzarsi delle capacità di produzione culturale e quindi dall'alta formazione e dalla ricerca avanzata in tutti i campi delle conoscenze. Le esperienze realizzate dalle Università dell'Emilia-Romagna, i risultati ottenuti in tema di trasferimento tecnologico e avanzamento culturale, la vastissima rete internazionale di cui i nostri atenei sono parte trainante impongono una responsabilità che va ben oltre le mura delle nostre università. E' in gioco lo stesso futuro del nostro Paese.
In questo quadro, gli atenei della Regione Emilia-Romagna sono pronti a discutere questa prospettiva di uscita dall'emergenza, progettando insieme quel mix di collaborazione e competizione senza il quale difficilmente si uscirà con successo da questa difficile situazione.
Con questa riunione straordinaria congiunta abbiamo voluto testimoniare il ruolo che il sistema universitario dell'Emilia-Romagna intende, oggi, giocare per il futuro della Regione e del Paese, un ruolo di indispensabile protagonista dello sviluppo che passa attraverso le nostre funzioni: formazione, ricerca e trasferimento della conoscenza.

sabato 19 luglio 2008

Eluana, l’arroganza dei falsi esperti

Leggo il Corriere della Sera da molti anni e ho resistito imperterrito al suo ondivagare politico, alle sue cadute di stile e di gusto e persino a alcuni atti di maleducazione nei miei confronti. Una lettera come quella di Adriano Celentano sul caso Englaro, però, non l'avevo mai vista pubblicare. Penso che se fossi il Buondio mi sentirei in dovere di scrivere due righe all'autore della nefasta missiva («la ringrazio per l'affettuosa collaborazione, purtroppo ragioni di forza maggiore mi costringono a rinunciare ai suoi servizi...»). Non ce l'ho con Celentano ma con chi ne pubblica le confabulazioni e c con quella moltitudine di cittadini che per la semplice ragione di essere convinti dell'esistenza di un misterioso e poco benevolo essere supremo, vogliono imporre a altri (altrettanto numerosi) cittadini che non hanno il dono della fede, una serie di impressionanti limitazioni (alla loro libertà, ai loro diritti, alla loro dignità) sulla base di una improvvisata, improbabile, querula razionalità. Parliamone. Il quesito fondamentale che tutti si pongono è a chi appartengono vita e esistenza. La vita non è di nessuno, è e basta; a chi appartenga l'esistenza dipende invece dal punto di vista da cui le si attribuisce valore, perché è solo a seconda della quantità di questo valore che ci preoccupiamo del suo destino. Da uomo laico, sono interessato a essere libero di esistere, perché da questa libertà ne discendono altre, come quella di scegliere modo e momento di porre fine alla mia esistenza: perché il problema di un uomo laico è comunque sempre e soprattutto la libertà, se è vero che la laicità rappresenta l'atteggiamento intellettuale di chi considera essenziale la libertà di coscienza, intesa come libertà di credenza, conoscenza, critica e autocritica. Su questo tema, a chi appartenga la nostra esistenza ci riveliamo per quello che siamo, degli stranieri morali. Se l'esistenza ci è stata donata, prestata o data in enfiteusi, dobbiamo risponderne a qualcuno. Se è nostra, abbiamo diritto di disporne, compatibilmente con i debiti che abbiamo contratto con la società: perché se non esiste un traghettatore con il quale cercare un accordo, il problema è unicamente nostro, ce la dobbiamo sbrigare da soli. Ma qual è l'elemento più importante della nostra esistenza, quello al quale attribuiamo il maggior valore? La vita in sé, perché sacra e inviolabile e che dobbiamo rispettare e accettare comunque sia, qualsiasi cosa ci faccia, senza poterla ritenere responsabile delle nostre sofferenze? O possiamo apprezzarla diversamente e valutarla in rapporto a quanto ci concede? E cosa ci aspettiamo da lei per poterle assegnare un valore? Dignità? Qualità? E' una scelta complessa e non facile, l'unica cosa certa è che non c'è possibilità d'accordo su questo tema tra credenti e non credenti: è qui che entrano in campo le isole per stranieri morali perché ognuno di noi deve poter scegliere in assoluta libertà e lo stato questa libertà la deve garantire. L'alternativa, il prezzo che potremmo pagare è il conflitto sociale, la guerra di religione. Quando cerchiamo un rapporto «umano» con le altre persone, quando entriamo in comunicazione con loro, lo facciamo chiedendo alle nostre esistenze di dialogare. Non credo che qualcuno di noi dia particolare rilievo a come funziona l'intestino dei nostri amici: essi esistono perché sono in grado di pensare, comunicare, entrare in relazione con gli altri, soffrire e gioire, mettere in campo le proprie capacità cognitive; quando tutte queste capacità scompaiono per sempre, noi siamo costretti a ammettere che il nostro amico ha abbandonato il suo corpo, non lo abita più. Che in quel corpo ci sia ancora vita, che l'intestino abbia ancora movimenti peristaltici, che produca gas e feci, che la barba continui a crescere, sono epifenomeni della presenza di barlumi di vita ai quali non attribuiamo alcun valore, eventi che non ci aiutano neppure a considerare con minor dolore il fatto primario, il nostro amico ci ha lasciato, in quel corpo non abita più nessuno. Di quel contenitore vuoto la società può fare molte cose: è auspicabile che si comporti seguendo i desideri e le istruzioni espressi in vita dal nostro amico. Il rifiuto delle cure, se espresso da una persona capace di intendere, è un diritto protetto e garantito dalla Costituzione, non può essere messo in dubbio. Nel caso di Eluana Englaro si tratta però di sospendere cure già in atto, e il problema si connota subito per l'interferenza di argomenti pretestuosi e sgradevoli. Poiché nessuno ha il coraggio di dichiarare che esiste per Eluana una benché minima probabilità di ritorno allo stato cosciente (anche se di tanto in tanto qualcuno ha la faccia tosta di buttar là l'ipotesi di un sempre possibile miracolo), l'oggetto del contendere è diventata l'interpretazione del significato dell'alimentazione e dell'idratazione artificiali: atti medici o forme di assistenza ordinaria? Il Comitato nazionale per la bioetica ha votato a maggioranza (18 voti contro 8) un documento in cui si afferma che nutrire e idratare le persone in stato vegetativo persistente costituisce una forma di assistenza ordinaria di base e proporzionata, un segno di civiltà, un atteggiamento che assume un forte significato umano (immagino che entri come sempre in ballo la pietà, i cattolici sono monomaniaci) e simbolico, qualcosa che ha a che fare con la dimostrazione di «sollecitudine per l'altro». E sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiali ai pazienti in stato vegetativo persistente (come la signora Schiavo, che tra l'altro non aveva in pratica più il cervello, come provato dall'autopsia) è illecito. Qui si pone un problema molto serio. Tutto il mondo scientifico, tutte le società mediche che si occupano di questi temi sostengono che alimentazione e idratazione artificiali sono veri e propri atti medici che sottendono sofisticate e complesse conoscenze scientifiche e che solo i medici possono elaborare e mettere in atto. Chiedo a tutti questi esperti di fisiopatologia della nutrizione: chi vi dà il diritto di contestare la medicina e la scienza? Ritenete forse che ubbidire alle istruzioni del vostro Magistero giustifichi questa vostra sgradevole e odiosa arroganza? Chi vi autorizza a pontificare (!) su temi dei quali non sapete niente, con l'unico scopo di rivestire di sentimentalismi sciropposi le vostre personali opinioni? Questa è materia di sofferenza, che merita compassione, non vi sembra odiosa la sceneggiata con le bottiglie d'acqua minerale? Lo so, mi sono arrabbiato, non avrei dovuto: ma tollerare un Celentano mi è ancora possibile, mille Celentani no, proprio non ce la faccio. E poi questa opinione di molti cattolici sul significato dell'alimentazione, il fatto che si indichi, nel darmi da mangiare e da bere (anche nel modo così terribilmente tecnologico dei reparti di rianimazione), l'espressione del riconoscimento della mia umanità, mi insospettisce un po'. Non credo che accetterò mai un invito a cena da parte di Francesco D'Agostino, non vorrei che decidesse di nutrirmi per via intravenosa (o peggio).

di Carlo Flamigni

martedì 1 luglio 2008

“Oh no, ancora!”. Il duro editoriale del Financial Times contro Berlusconi

Silvio Berlusconi è al potere in Italia da quasi 50 giorni. Vedere il suo nuovo governo in azione è un po’ come sedersi a guardare ancora una volta un vecchio brutto film. Quando il leader di Forza Italia governò l’Italia dal 2001 al 2006, investì troppo tempo a legiferare per proteggere se stesso dalle inchieste e troppo poco per riformare la stagnante economia italiana. Ovviamente è troppo presto per esprimere giudizi netti. Ma l’ultima uscita di Berlusconi al governo ha già i tratti di un nuovo show dell’orrore.
Ancora una volta il 71enne premier investe molta della sua energia politica a legiferare per proteggersi dagli inquirenti italiani. Vuole passare una legge che sospenderebbe per un anno la maggior parte di casi giudiziari i cui reati comportano più di dieci anni di condanna. Se questa legge passasse farebbe naufragare un processo fissato per il prossimo mese nel quale Berlusconi è accusato di aver pagato 600.000 dollari al suo avvocato britannico David Mills. L’opposizione – non c’è bisogno di dirlo - l’ha ribattezzata “legge salva premier”.
Berlusconi non si ferma qui. Sta anche cercando di introdurre una legge che darebbe immunità dalle inchieste giudiziarie alle più alte cariche dello Stato, incluso lui stesso. Una legge siffatta sarebbe impensabile nella maggior parte dei paesi occidentali ed era stata ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale italiana l’ultima volta che Berlusconi cercò di introdurla nel 2004. Ora che Berlusconi è tornato al governo ci riprova.
Tutto ciò sarebbe di modesto interesse se Berlusconi spendesse la stessa energia per riformare la stagnante economia italiana. Ma pure su questo fronte i timori crescono. L’ultima volta che era al potere, uno dei peggiori errori fu di lasciare che il deficit e il livelli del debito uscissero fuori controllo. Ci si domanda se stiamo per assistere allo stesso scenario.
Il governo Berlusconi la scorsa settimana ha introdotto un piano finanziario che vedrà crescere il rapporto deficit pubblico/pil dall’1.9% del 2007 al 2,5% nel 2008. Un aumento che potrebbe essere giustificato dalla scarsa crescita economica, ma ancora non si vedono segnali che questo governo voglia mantenere una stretta sulla spesa pubblica.
Per il bene dell’Italia le cose devono migliorare da qui. Il paese ha uno dei tassi di crescita più lenti dell’eurozona. Ha bisogno di un’azione di governo seria e responsabile per far ripartire l’economia. Mercoledì scorso Berlusconi ha detto che i pm italiani l’hanno sottoposto ad un interminabile “calvario”. Ma l’unico calvario di questa vicenda è quello patito dall’Italia, che necessita di un drastico cambiamento del suo destino politico ed economico.


mercoledì 18 giugno 2008

Il modello europeo del 3+2 era una menzogna italiana

Da noi può succedere - come ci racconta Luciano Canfora - di varare un’intera riforma universitaria basata sulla laurea breve (3+2) allo scopo urgente e improcrastinabile di «adeguarci all’Europa», per poi scoprire che in Europa la consolidata realtà del 3+2 non c’era mai stata. Questi curiosi fenomeni visionari non sono, per la verità, infrequenti. Quale Europa conoscono i nostri giornalisti e i nostri politici? La questione è molto seria. Saper leggere nell’immaginario europeo della stampa italiana costituisce un passaggio essenziale nella Bildung del cittadino consapevole. Nel lontano 1994, studente all’università tedesca di Freiburg, mi capitò di leggere su “La Repubblica” un articolo di Miriam Mafai che perorava la causa dell’aumento delle tasse universitarie, per adeguarci, naturalmente, all’Europa. Con stupore lessi che, secondo la Mafai, «l' università italiana può vantare tre record in Europa: le tasse più economiche, i servizi più scadenti, il più basso tasso di efficienza. Le tasse universitarie oscillavano, fino al 1993, tra le trecento e le seicentomila lire: in nessun paese d' Europa (non parliamo poi degli USA !) si paga così poco per frequentare l'Università». (La Repubblica, 23.9.’94). Parole chiare e perentorie. Ricordo che allora questo genere di interventi riscuotevano unanime consenso. Da qualche tempo si era aperto «il dibattito nel Paese» sull’aumento delle rette universitarie. Si alternavano le posizioni. «Dobbiamo proprio adeguarci all’Europa?», si chiedeva qualcuno. E un altro gli rispondeva di sì, non senza dargli del fesso retrogrado. Ma può essere proprio la sinistra a voler aumentare le tasse universitarie? Certo! si rispondeva: aumentandole si va incontro (come non capirlo?) alle classi meno abbienti. Infatti, per prendere ancora la Mafai, che ripeteva un argomento allora molto in voga, «sono sempre gli stessi gruppi sociali che accedono all' Università, a spese, però, della collettività e di quei lavoratori dipendenti che pagano le tasse e i cui figli si iscrivono alle liste di collocamento appena finita la scuola media». Escluderli definitivamente, senza però ridurre, sia chiaro, le tasse che i loro padri hanno continuato a pagare per tutti, serviva, dunque, secondo questa tesi, a riparare un torto e a ridurre l’effetto perverso del nostro Stato sociale, «ammettendo, sia pure con qualche difficoltà che anche l'istruzione universitaria rientri nel Welfare». Così, per avvantaggiare i poveri, le tasse universitarie aumentarono e aumentarono. Delle tante facilitazioni per gli studenti che esistono in Europa non si vide, naturalmente, nemmeno l’ombra. Le università restarono, ovviamente, inefficienti. E anzi peggiorarono a vista d’occhio, per poi schiantarsi definitivamente dopo l’introduzione, da parte del centrosinistra, del 3+2 e di tutta l’annessa poltiglia di finte lauree brevi che sono servite solo come specchietto per le allodole, ovvero per incamerare le laute rette che gli studenti, ricchi e poveri, ma finalmente europeizzati, hanno dovuto pagare.Benvenuti in Europa? No. Perché in tutta Europa, e questa è la cosa davvero sconcertante, non esistevano allora – e quasi non esistono oggi – tasse universitarie! Capito? Le prime tasse, in Germania, si sono viste due anni fa. Nel lontano 1994, niente: tutto gratis. Per me, che studiavo nell’efficientissima università di Freiburg senza aver pagato nulla, seguire questo dibattito è stato rivelativo. La sinistra, quando Berlusconi era ancora agli albori del suo impegno politico, si era inventata da sola un’Europa severa e antisociale del tutto immaginaria. Ma a un certo punto la stampa nazionale cambiò misteriosamente registro. Il Corriere della sera (14 Ottobre 2003) si risolse a scrivere che Tony Blair, nonostante la tradizione inglese per la quale «la laurea, anche in prestigiosi atenei come Oxford o Cambridge, era sempre stata gratuita», aveva introdotto per la prima volta, con autentico cipiglio riformista, la possibilità di pagare delle rette di circa 1100 sterline annue. Dunque, anche in prestigiosi atenei come Oxford o Cambridge non si pagavano tasse d’iscrizione. E quale fondamento aveva allora lo psicodramma che anni addietro s’era celebrato in Italia? Si è forse fatto ammenda del fatto che il «dibattito nel Paese» è stato infarcito solo, nella migliore delle ipotesi, di sentito dire e di approssimazioni provinciali? No. Dovevamo prendere di nuovo esempio! Eppure, a guardare meglio, si sarebbe potuto credere di aver anticipato di qualche anno nientemeno che il riformismo di Blair. Abbiamo però sportivamente fatto finta di lasciare a Blair questo primato, forse anche per continuare ad offrire l’immagine di un’Europa da seguire, benché non la seguissimo affatto. E in realtà non l’abbiamo né seguita né anticipata. Quello che abbiamo fatto non ha semplicemente esempio in Europa. I dettagli qui sono importanti. La secondo riforma di Blair (che è riuscito a far passare nel gennaio del 2004 con uno scarto di quattro voti) porta la retta universitaria esigibile ad un tetto massimo di 3.000 sterline annue, ma - e questo è decisivo - gli studenti non debbono comunque versare del denaro all'inizio dei loro studi. I soldi delle rette devono essere restituiti allo Stato «entro quindici anni» dal conseguimento del titolo «e soltanto se si dispone di un reddito di almeno 15mila sterline l'anno. In pratica, se uno studente mette a frutto l'istruzione ricevuta e guadagna, salderà il debito; altrimenti non è costretto» (La Repubblica 25 Gennaio 2004). Si tratta di una misura che, come ognun vede, è cosa ben diversa dal mero innalzamento delle rette nostrano, perché non crea uno sbarramento economico in entrata. Inoltre, impone a quei professionisti che hanno studiato a spese di tutta la collettività (ma che possono poi chiedere parcelle esose) di contribuire al mantenimento delle università (e in modo, peraltro, sostenibile). Morale della favola, nonostante «il dibattito nel Paese» ci teniamo il 3+2, l’università più scassata, iniqua e baronale d’Europa, pagando in compenso un bel mucchio di soldi che in Europa, nella maggior parte dei casi, continuano a non pagare. Credo che questo fatto, non di piccolo rilievo, possa insegnarci molto, sia sulla «cultura» della sinistra italiana sia in generale sull’attendibilità della stampa. E quando ci dicono che così si fa Europa, informiamoci bene. Potremmo scoprire, come è toccato a Canfora, che è vero il contrario di quello che ci viene detto.

di Giovanni Perazzoli

sabato 14 giugno 2008

No all' aumento delle tasse universitarie !


Ancora una volta dobbiamo assistere ad una scellerata operazione di cassa degna solo del Principe Giovanni e dello sceriffo di Nottingham portata avanti con l'aumento delle tasse secco e netto deciso dal Consiglio d'Amministrazione dell'Ateneo.
Noi abbiamo sostenuto fin dall'inizio l'esigenza di creare un percorso agevolato per gli studenti lavoratori (come c'era scritto nel nostro programma: il 50% delle tasse annue e la possibilità di sostenere la metà degli esami) e la necessità di aggiornamento della fasciazione per la riduzione delle tasse che tenga in conto dell'aumento del costo della vita a Bologna e del calo del potere d'acquisto dei salari su scala nazionale .
Abbiamo contrastato con forza e convinzione la proposta di aumento delle tasse sostenendo che era necessario tagliare gli sprechi ed aumentare i servizi prima di poter chiedere agli studenti di dare il loro contributo, ma il CDA ha deciso a maggioranza (con il voto favorevole dei ciellini dello Student Office) di aumentare le tasse del 6% (ovvero 60-70 euro per ogni triennale, 250-300 euro per le magistrali e 274 euro per il ciclo unico di giurisprudenza).
E' scandaloso vedere un associazione di studenti universitari che rappresentano (o dovrebbero rappresentare?! il condizionale è d'obbligo...) quegli stessi studenti che vivono,spesso con grandi sacrifici delle loro famiglie,in una città costosa e sempre meno ospitale votare a favore dell'aumento delle tasse...
Ma è ormai ben chiaro che lo Student Office è asservito a logiche di sudditanza nei confronti delle aziende e delle cooperative del bussines universitario legate a Comunione e Liberazione.
Non possiamo che provare sdegno verso un classe dirigente d'Ateneo che vota determinati provvedimenti senza cercare il minimo compromesso con gli studenti.
Noi invece non cederemo mai a certe logiche ,continueremo a rappresentare gli studenti perchè siamo e vogliamo essere studenti tra gli studenti e credere ancora in un altra università più giusta, più solidale, più democratica e più sensibile al diritto allo studio.

venerdì 13 giugno 2008

TUTTI I DIRITTI PER TUTT* !!!

Come studenti di sinistra, come studenti laici, come studenti per le pari opportunità e contro ogni discriminazione, come studenti contro ogni vecchio e nuovo fascismo non possiamo che sostenere il Bologna Pride 08 per dire ancora una volta "Normali a chi?!" e per sostenere la cultura di un altro mondo di diritti e cittadinanza più che mai necessario e possibile.
Come si legge nel documento della manifestazione "Il Pride sarà un’occasione importante non solo per il movimento lgbt, ma per tutte le forze politiche e sociali che credono ancora che una società in cui tutte le cittadine e i cittadini abbiano pari dignità e pari diritti sia una società più giusta e democratica. Partecipare al Pride significa mettere in luce tematiche oscurate da forze politiche ed ecclesiastiche che utilizzano il sentimento religioso per impedire leggi contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia e in generale per impedire provvedimenti a favore dei diritti di lesbiche, gay, transgender e bisessuali."
Tutti al pride, tutti i diritti per tutt* !!!

sabato 7 giugno 2008

Berlusconi sale al Vaticano e il papa scende a palazzo Chigi

Il sogno berlusconiano si è compiuto: sulla via del monte Quirinale, il governo peggiore della storia italiana ha ricevuto la Cresima, officiante papa Benedetto XVI. Che clima primaverile e bucolico! Solo Virgilio avrebbe potuto celebrare l’idillio amoroso aggiungendo una undicesima bucolica alle dieci già esistenti. Che aria distesa! Se si chiudeva l’audio della tv (di Stato) era facile immaginare Melibeo e Titiro che descrivono il dolce tramonto romano, mentre umile e gaio si eleva nel terso cielo dell’Urbe il fumo dei camini! Che « clima cioioso» e festante per la nuova èra italo-vaticana. Il Tevere è ora biologico e le sue acque si possono bere tranquillamente senza più pericolo. La consacrazione e l’incoronazione hanno avuto successo e tutti vissero felici e contenti per la perfetta sintonia di vedute tra Governo e Vaticano. Firmate le transazioni economiche ancora sospese, come le scuole private, rimosso ogni sospetto di autonomia dello Stato, seppellita la nozione stessa di laicità, non ci resta che farci tutti preti e suore e finire gli ultimi giorni in convento o in sacrestia.

Berlusconi, dunque, è apparso al papa in tutta la lunghezza della sua piccola statura (dicono le cronache che per l’occasione abbia rinforzato i tacchi), fiato trattenuto per esprimere i pettorali, segno deciso di un governo decisionista. Come in tutti gli idilli, c’è un «però»: nessuno, però, si fidava del capo Narciso per lasciarlo solo col papa. Per la prima volta nella storia bimillenaria della diplomazia vaticano, il presidente italiano del consiglio dei ministri è accompagnato e assistito, anche durante l’udienza privata, da Gianni Letta, il cardinale Richelieu del caso. Tutti avevano paura del Narciso e delle sue solite gaffes. Il papa temeva che lo abbracciasse e dichiarasse di essere suo convivente di fatto. La curia aveva paura che si sedesse al posto del papa e si auto-proclamasse «Dio che manda in missione i suoi apostoli di partito». La casa pontificia che si travestisse da papa e presentasse il Benedetto come suo autista, oppure che scambiasse qualche prelato effeminato per una donna e la «distendesse» lì nei sacri palazzotti. Era necessario che l’uomo fosse guardato a vista con un cane da guardia accanto. Dicono le indiscrezioni che Gianni la Guardia avesse uno spillone per prevenire e, extrema ratio, una pistola da tasca per farlo fuori in caso di irreparabile necessità. Tutto però è andato bene: per il papa che ha ricevuto le chiavi del governo d’Italia, per Berlusconi che ha visto pompare il suo «super-ego» insaziabile, per tutti tranne che per l’Italia che ora dovrà pagare i conti a saldo.

Apprendiamo con compunto interesse che il cane da guardia, Mons. Gianni (per gli amici e la Segreteria di Sato), è stato insignito delle infule di «Gentiluomo di Sua Santità». Ora sappiamo che non vi sono solo atei devoti, ma anche atei gentiluomini di là e di qua dal Tevere. Questa nomina è significativa perché esprime una duplice fedeltà: il Gentiluomo del papa è anche sottosegretario del presidente del consiglio. A molti è sfuggita la mossa: ora a Palazzo Chigi governa Berlusconi che è governato dal Gianni-Richelieu, che è nominato Gentiluomo dal papa per conto del quale governa il governo delle banane. Las sua prossima nomina sarà: cardinale di Santa Ratzingheriana Chiesa.

Ci sentiamo completamente estranei a questa euforia e a questa, almeno per noi, invereconda sceneggiata: un papa che consacra un uomo come Berlusconi sarà certamente un capo di Stato che fa i suoi interessi, ma cessa di essere un Pastore (anche tedesco) in difesa del bene comune del suo popolo. Avrebbe dovuto dirgli: Non licet che tu ti arricchisca sulle debolezze della gente; non licet che tu vada in guerra; non licet che tu abbia fatto eleggere inquisiti e condannati anche per reati di mafia; non licet che un papa che è padre dei poveri e degli immigrati si presenti alle tv con te accanto: prima vai, vendi quello che hai, dàllo ai poveri, poi vieni e seguimi. Avrebbe dovuto, ma non lo ha fatto. Nonostante ciò, a noi non interessa la diplomazia, o il protocollo o la ragion di Stato, a noi interessa la simbologia dei gesti che parlano più di ogni discorso. Papa Giovanni, nel giorno dell’inizio del suo pontificato (28 ottobre 1958) disse: «Le altre qualità umane, la scienza, l’accorgimento, il tatto diplomatico, le qualità organizzative, possono riuscire di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo possono sostituire il compito di pastore».

di don Paolo Farinella


venerdì 6 giugno 2008

sabato 31 maggio 2008

giovedì 29 maggio 2008

Se risulta che Dio esiste, non credo che sia cattivo. Il peggio che si possa dire di lui è che fondamentalmente ha avuto poco successo.

Woody Allen

martedì 27 maggio 2008

POCHI MA BUONI - l'Università dei pari

Scoraggiati e frustrati di fronte a questo nuovo assalto da parte dei dirigenti universitari nei nostri confronti, sciocco quanto più immotivato, ci vediamo costretti a ripetere nuovamente: ” No all’aumento delle tasse”.
Siamo attoniti di fronte al nichilismo, al cinismo, alla mediocre politica perseguita da cosiddetti dirigenti che per sopperire ai loro sbagli si accaniscono contro di noi e le nostre famiglie.
Siamo ancora più sbalorditi, in quest’occasione, perché costatiamo sempre più una linea politica che via via si definisce, che con il passare del tempo prende sempre più sostanza, che si perfeziona mano a mano: “La creazione di un ateneo di pari”.
Notare che non diciamo un ateneo di elite ma non di pari volendo con questo sottolineare come ci sia una politica che miri principalmente a selezionare gli iscritti non in base ai loro meriti o alla loro capacità (come dovrebbe essere in un’università di elite) ma semplicemente in base al loro reddito, al loro censo, alla loro capacità di spendere, di acquistare, di sostenere il futuro dell’ateneo.
Questo sistema avrà il merito di diminuire gli iscritti ma di mantenere un adeguato ricavo dalle iscrizioni, di avere una più facile gestione del corpo studenti, un miglioramento della qualità della didattica e una più felice convivenza con la città; tutto questo però è solamente un sogno di cartapesta, un desiderio criminale che sulle ambizioni di qualche docente mette a rischio la vita e il futuro di molti giovani e molti studenti.
Perché un’università di pochi, è contro ogni concetto umanistico e culturale di Università, concepito come centro di studio e di discussione alla pari tra docenti e studenti; l’Università deve stimolare la conoscenza, approfondirla, divulgarla; deve dare la possibilità a chiunque se ne ha le capacità di permettersi un’istruzione superiore; deve farsi carico di offrire ai suoi proprietari una formazione degna di questo nome, che sia alla pari dei paesi europei e con essi competitivi.
L’Università è nostra dobbiamo iniziare a ricordarcelo; non di qualche ministro né di qualche grigio burocrate, che pensa soltanto di entrate e costi, il futuro siamo noi, l’ateneo è lì per soddisfare le nostre ambizioni di sapere, per darci una preparazione adeguata che saremo noi a decidere se soddisfacente o meno.Un’università non si può in base al numero degli iscritti e dei fuori corso; dal numero che richiede una borsa di studio o dal numero di persone che dichiarano un reddito superiore ai 70.000 euro; non è questa l’università, non è questa l’università che vogliamo, non è questa l’università che abbiamo desiderato di incontrare, non è questa l’università per cui lavoriamo ogni giorno, non sarà questa l’università che lasceremo.

Jacopo

lunedì 26 maggio 2008



CINEFORUM
Martedì 27 ore 21
via Mascarella 86 aula 2
INGRESSO GRATUITO

venerdì 23 maggio 2008

Gli insegnati di religione cattolica sono privilegiati anche economicamente

Non solo sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato dallo Stato italiano, nonostante siano reclutati dal Vaticano. Non solo potranno andare ad insegnare anche altre materie. Ma percepiscono anche uno stipendio superiore a quello degli altri docenti, sia da precari che una volta in ruolo. Questi particolari "insegnanti di Dio", infatti, sono i soli ad avere un incremento biennale sullo stipendio pari al 2,5%, per gli anni di incarico annuale su nomina dell'ordinario diocesano, e gli unici a vederselo computato interamente una volta diventati stabili.
Ricordiamo che la questione degli insegnanti di religione cattolica si è creata nel nostro Paese col Concordato fascista del ’29. Da allora, si è andata configurando una categoria particolarissima di docenti designati dalla Chiesa Cattolica, ma pagati dallo Stato, quindi con i soldi di tutti gli italiani. Questa situazione, continuata invariata con l’avvento della Repubblica, è stata ribadita nel 1984 in occasione della revisione del Concordato dall’allora capo di governo Bettino Craxi, desideroso d'ingraziarsi una Chiesa cattolica in declino di consensi nella società civile.
Col Concordato dell' '84, l'insegnamento della religione cattolica perdeva però quella funzione di "coronamento dell'istruzione" riconosciutagli (almeno formalmente) dal regime fascista, per diventare facoltativo. Da allora, nonostante e contro l'opera di ministri e funzionari statali, più ossequiosi al Vaticano che alla laicità dello Stato, il principio della facoltatività si è definitivamente affermato, anche se è stato necessario per questo – nell’ '89 e nel 91 – il pronunciamento della Suprema Corte Costituzionale, che ha finalmente stabilito che quanti non volessero avvalersi dell'insegnamento della “Religione” non fossero costretti a frequentare "materie alternative" o a "studiare individualmente" durante l’ora in cui altri compagni di classe usufruivano dell’insegnamento religioso. Tuttavia, le azioni di favoreggiamento dei nostalgici della Religione di Stato non sono state mai dismesse, e ancora oggi capita di dover sprecare energie contro i velleitari tentativi di far valere l’insegnamento religioso per determinare promozioni e bocciature o per le attribuzioni di punteggio del credito scolastico in occasione degli scrutini finali.
Essendo facoltativo l'insegnamento della religione cattolica, la quantità dei docenti chiamati ad impartirlo è legato alle richieste di chi se ne avvalga, e poiché per prevedere la presenza di un insegnante di religione può bastare anche un alunno per classe, appare chiaro come il numero di questi docenti sia svincolato dal rapporto insegnanti-alunni valido per tutti gli altri docenti della scuola statale che hanno classi di circa trenta studenti. Il mercato del lavoro degli insegnanti di “Religione” allora è rimasto abbastanza stabile, nonostante siano diminuiti, in alcune realtà anche sensibilmente, il numero degli studenti “avvalentisi”. Un mercato che è tutto nelle mani della Chiesa romana perché lo Stato italiano, come abbiamo detto, accorda al Vaticano il privilegio di designare gli insegnanti di religione.
Così non il diritto italiano, ma quello canonico regola la materia:
"All'autorità della Chiesa è sottoposta l'istruzione e l'educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo di vari strumenti di comunicazione sociale; spetta alla Conferenza episcopale emanare norme generali in questo campo d'azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su esso" (Diritto Canonico, canone 804)
"L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti di religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica. .È diritto dell'Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedono motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi" (Diritto Canonico, canone 805).
Pertanto, l'insegnante di religione cattolica diviene un "prescelto" solo se completamente organico alla ideologia della Chiesa, che ne controlla “dottrina e costumi”.
Un principio questo, che non ha subito variazione alcuna nella legge sull’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica approvata il 15 luglio 2003, in virtù della quale lo Stato italiano, non solo continuerà ad obbedire a quanto la Chiesa decide, ma addirittura dovrà garantire che questo personale docente assai particolare vada ad insegnare materie diverse dalla religione cattolica. Il meccanismo introdotto dalla legge, infatti, prevede che qualora il Vescovo competente territorialmente ritenga questi insegnanti, a sua insindacabile decisione, non più adatti all'insegnamento cattolico, potrà esigere che vengano rimossi, ma poiché essi sono ormai a tutti gli effetti titolari di un contratto a tempo indeterminato con lo Stato, andranno a coprire le cattedre delle materie obbligatorie per tutti, alle quali gli altri docenti di ruolo hanno avuto accesso per le vie regolari (selettivi concorsi a cattedra, titoli, abilitazioni…). Vale appena ricordare, che molti dei docenti di religione cattolica non sono neppure laureati.
Si è introdotto, così, un vero e proprio canale di reclutamento del personale della scuola parallelo a quello Statale, per accedere al quale bisognerà essere "eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana". Un forte condizionamento etico, dunque, in totale contraddizione con i principi Costituzionali che garantiscono libertà di pensiero e di coscienza, nonché uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Inoltre, a voler pensare malignamente: ogni anno la Chiesa potrebbe decidere di esigere la rimozione dei propri insegnanti per incaricarne altri, costringendo così lo Stato a ricollocarli.
A questo punto il reclutamento del personale della scuola sarebbe sempre più nelle mani della Chiesa con la conseguente clericalizzazione di tutte le istituzioni scolastiche.

di Maria Mantello