sabato 31 maggio 2008

giovedì 29 maggio 2008

Se risulta che Dio esiste, non credo che sia cattivo. Il peggio che si possa dire di lui è che fondamentalmente ha avuto poco successo.

Woody Allen

martedì 27 maggio 2008

POCHI MA BUONI - l'Università dei pari

Scoraggiati e frustrati di fronte a questo nuovo assalto da parte dei dirigenti universitari nei nostri confronti, sciocco quanto più immotivato, ci vediamo costretti a ripetere nuovamente: ” No all’aumento delle tasse”.
Siamo attoniti di fronte al nichilismo, al cinismo, alla mediocre politica perseguita da cosiddetti dirigenti che per sopperire ai loro sbagli si accaniscono contro di noi e le nostre famiglie.
Siamo ancora più sbalorditi, in quest’occasione, perché costatiamo sempre più una linea politica che via via si definisce, che con il passare del tempo prende sempre più sostanza, che si perfeziona mano a mano: “La creazione di un ateneo di pari”.
Notare che non diciamo un ateneo di elite ma non di pari volendo con questo sottolineare come ci sia una politica che miri principalmente a selezionare gli iscritti non in base ai loro meriti o alla loro capacità (come dovrebbe essere in un’università di elite) ma semplicemente in base al loro reddito, al loro censo, alla loro capacità di spendere, di acquistare, di sostenere il futuro dell’ateneo.
Questo sistema avrà il merito di diminuire gli iscritti ma di mantenere un adeguato ricavo dalle iscrizioni, di avere una più facile gestione del corpo studenti, un miglioramento della qualità della didattica e una più felice convivenza con la città; tutto questo però è solamente un sogno di cartapesta, un desiderio criminale che sulle ambizioni di qualche docente mette a rischio la vita e il futuro di molti giovani e molti studenti.
Perché un’università di pochi, è contro ogni concetto umanistico e culturale di Università, concepito come centro di studio e di discussione alla pari tra docenti e studenti; l’Università deve stimolare la conoscenza, approfondirla, divulgarla; deve dare la possibilità a chiunque se ne ha le capacità di permettersi un’istruzione superiore; deve farsi carico di offrire ai suoi proprietari una formazione degna di questo nome, che sia alla pari dei paesi europei e con essi competitivi.
L’Università è nostra dobbiamo iniziare a ricordarcelo; non di qualche ministro né di qualche grigio burocrate, che pensa soltanto di entrate e costi, il futuro siamo noi, l’ateneo è lì per soddisfare le nostre ambizioni di sapere, per darci una preparazione adeguata che saremo noi a decidere se soddisfacente o meno.Un’università non si può in base al numero degli iscritti e dei fuori corso; dal numero che richiede una borsa di studio o dal numero di persone che dichiarano un reddito superiore ai 70.000 euro; non è questa l’università, non è questa l’università che vogliamo, non è questa l’università che abbiamo desiderato di incontrare, non è questa l’università per cui lavoriamo ogni giorno, non sarà questa l’università che lasceremo.

Jacopo

lunedì 26 maggio 2008



CINEFORUM
Martedì 27 ore 21
via Mascarella 86 aula 2
INGRESSO GRATUITO

venerdì 23 maggio 2008

Gli insegnati di religione cattolica sono privilegiati anche economicamente

Non solo sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato dallo Stato italiano, nonostante siano reclutati dal Vaticano. Non solo potranno andare ad insegnare anche altre materie. Ma percepiscono anche uno stipendio superiore a quello degli altri docenti, sia da precari che una volta in ruolo. Questi particolari "insegnanti di Dio", infatti, sono i soli ad avere un incremento biennale sullo stipendio pari al 2,5%, per gli anni di incarico annuale su nomina dell'ordinario diocesano, e gli unici a vederselo computato interamente una volta diventati stabili.
Ricordiamo che la questione degli insegnanti di religione cattolica si è creata nel nostro Paese col Concordato fascista del ’29. Da allora, si è andata configurando una categoria particolarissima di docenti designati dalla Chiesa Cattolica, ma pagati dallo Stato, quindi con i soldi di tutti gli italiani. Questa situazione, continuata invariata con l’avvento della Repubblica, è stata ribadita nel 1984 in occasione della revisione del Concordato dall’allora capo di governo Bettino Craxi, desideroso d'ingraziarsi una Chiesa cattolica in declino di consensi nella società civile.
Col Concordato dell' '84, l'insegnamento della religione cattolica perdeva però quella funzione di "coronamento dell'istruzione" riconosciutagli (almeno formalmente) dal regime fascista, per diventare facoltativo. Da allora, nonostante e contro l'opera di ministri e funzionari statali, più ossequiosi al Vaticano che alla laicità dello Stato, il principio della facoltatività si è definitivamente affermato, anche se è stato necessario per questo – nell’ '89 e nel 91 – il pronunciamento della Suprema Corte Costituzionale, che ha finalmente stabilito che quanti non volessero avvalersi dell'insegnamento della “Religione” non fossero costretti a frequentare "materie alternative" o a "studiare individualmente" durante l’ora in cui altri compagni di classe usufruivano dell’insegnamento religioso. Tuttavia, le azioni di favoreggiamento dei nostalgici della Religione di Stato non sono state mai dismesse, e ancora oggi capita di dover sprecare energie contro i velleitari tentativi di far valere l’insegnamento religioso per determinare promozioni e bocciature o per le attribuzioni di punteggio del credito scolastico in occasione degli scrutini finali.
Essendo facoltativo l'insegnamento della religione cattolica, la quantità dei docenti chiamati ad impartirlo è legato alle richieste di chi se ne avvalga, e poiché per prevedere la presenza di un insegnante di religione può bastare anche un alunno per classe, appare chiaro come il numero di questi docenti sia svincolato dal rapporto insegnanti-alunni valido per tutti gli altri docenti della scuola statale che hanno classi di circa trenta studenti. Il mercato del lavoro degli insegnanti di “Religione” allora è rimasto abbastanza stabile, nonostante siano diminuiti, in alcune realtà anche sensibilmente, il numero degli studenti “avvalentisi”. Un mercato che è tutto nelle mani della Chiesa romana perché lo Stato italiano, come abbiamo detto, accorda al Vaticano il privilegio di designare gli insegnanti di religione.
Così non il diritto italiano, ma quello canonico regola la materia:
"All'autorità della Chiesa è sottoposta l'istruzione e l'educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo di vari strumenti di comunicazione sociale; spetta alla Conferenza episcopale emanare norme generali in questo campo d'azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su esso" (Diritto Canonico, canone 804)
"L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti di religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica. .È diritto dell'Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedono motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi" (Diritto Canonico, canone 805).
Pertanto, l'insegnante di religione cattolica diviene un "prescelto" solo se completamente organico alla ideologia della Chiesa, che ne controlla “dottrina e costumi”.
Un principio questo, che non ha subito variazione alcuna nella legge sull’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica approvata il 15 luglio 2003, in virtù della quale lo Stato italiano, non solo continuerà ad obbedire a quanto la Chiesa decide, ma addirittura dovrà garantire che questo personale docente assai particolare vada ad insegnare materie diverse dalla religione cattolica. Il meccanismo introdotto dalla legge, infatti, prevede che qualora il Vescovo competente territorialmente ritenga questi insegnanti, a sua insindacabile decisione, non più adatti all'insegnamento cattolico, potrà esigere che vengano rimossi, ma poiché essi sono ormai a tutti gli effetti titolari di un contratto a tempo indeterminato con lo Stato, andranno a coprire le cattedre delle materie obbligatorie per tutti, alle quali gli altri docenti di ruolo hanno avuto accesso per le vie regolari (selettivi concorsi a cattedra, titoli, abilitazioni…). Vale appena ricordare, che molti dei docenti di religione cattolica non sono neppure laureati.
Si è introdotto, così, un vero e proprio canale di reclutamento del personale della scuola parallelo a quello Statale, per accedere al quale bisognerà essere "eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana". Un forte condizionamento etico, dunque, in totale contraddizione con i principi Costituzionali che garantiscono libertà di pensiero e di coscienza, nonché uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Inoltre, a voler pensare malignamente: ogni anno la Chiesa potrebbe decidere di esigere la rimozione dei propri insegnanti per incaricarne altri, costringendo così lo Stato a ricollocarli.
A questo punto il reclutamento del personale della scuola sarebbe sempre più nelle mani della Chiesa con la conseguente clericalizzazione di tutte le istituzioni scolastiche.

di Maria Mantello

mercoledì 21 maggio 2008

L'università in guerra con Omero e Dante


"Come ogni anno, la produttività italiana è diminuita di qualche punto. Pochi anni fa, era lievemente inferiore a quella inglese, poi a quella francese e tedesca, poi a quella spagnola, poi a quella greca, poi a quella boema, poi a quella polacca, poi a quella bulgara, poi a quella moldava; e quest'anno si discute seriamente se sarà superiore o inferiore a quella del Ghana. Pare che abbiamo buone speranze. Tutti sanno qual è la ragione: la scuola e in primo luogo l'Università. E' il vero problema italiano: infinitamente più grave dell'inflazione, del tenore di vita, del bilancio dello stato, dell'Alitalia, dell'immigrazione clandestina, dell'immondezza che ha trasformato Napoli in una elegantissima pattumiera sotto il cielo. Nel dopoguerra, tutti i ministri della Pubblica Istruzione sono stati mediocri. Ma un tempo, i bigi e saggi ministri democristiani non osavano nemmeno sforare il vecchio edificio scolastico: sapevano che era pieno di crepe; e che un solo colpo di piccone avrebbe rischiato di distrugegre l'Università, il liceo, le medie, le elementari. Poi, non so come, presero coraggio: la parola 'riforma' li incantava: risvegliava in loro una specie di euforia e di ebbrezza, come se scrivere centinaia di leggi incomprensibili facesse conoscere loro la vera vita, - quella vita ardente che non avevano mai conosciuto. Così cominciarono le allegre catastrofi: quella della scuola elementare, a causa della moltiplicazione della maestra di base. Quella dell'esame di riparazione; e soprattutto (niente li affascina tanto) l'invenzione delle cattedre universitarie grottesche, come "Sociologia del gatto siamese" o il "Il computer applicato alla letteratura". Ma il vero, immane disastro, paragonabile a un terremoto del decimo grado della scala Mercalli, doveva ancora giungere. Otto anni fa, l'onorevole Luigi Berlinguer, circondato da una schiera di pedagogisti e seguito da Letizia Moratti, diede solennemente il primo colpo di piccone. Sono passati appena otto anni. E del vecchio edificio scolastico non resta più niente: tutte le tegole al suolo, muri maestri e pilastri divelti dal buldozer, mattoni in briciole, fango, poltiglia e, sopra l'immensa rovina, una fittissima nube di tenebra. Oggi, gli studenti universitari non leggono più: seguono piccoli corsi di poche settimane, che si susseguono vorticosamente; e alla fine, dopo aver saltabeccato da un piccolo corso ad un altro piccolo corso, giacciono a terra sfiniti, senza aver appreso assolutamente nulla. Come libri di testo, non adottano tutta la Divina Commedia, tutta l'Odissea, e Ernst Robert Curtius e Santo Mazzarino, come si faceva nel vecchio edificio scolastico: ma miserabili librettucci, che raccontano in cento pagine la Storia delle Crociate o i Moralisti classici. Testi, niente, perché leggere Dante o l'Odissea può riuscire pericoloso per le anime dei ragazzi innocenti. I pochi studenti dotati sono (giustamente) puniti: dopo aver studiato per otto anni, debbono affrontarne due di inutilissima pedagogia, prima di poter insegnare nelle medie o nei licei. Poi il ciclo si ripete all'infinito: pessimi professori universitari generano professori di liceo ancora peggiori, e questi allevano studenti per i quali scrivere una pagina in italiano è molto più arduo che ascendere l'Himalaya. Berlinguer e i suoi amici immaginavano che la socità moderna, o società di massa, o società globale, fosse il regno dell'immensa faciloneria, governata da un sovrano idiota. Leggere è inutile, studiare inutile, conoscere i classici antichi e moderni inutilissimo; basta ignorare l'italiano e blaterare sciocchezze. In realtà, la società moderna esige studi difficilissimi, molto più difficili di quelli di cinquant'anni fa: richiede un'assoluta precisione mentale, una cultura che abbraccia molte specializzazioni, il dono del pensiero analogico, e quello di scoprire il tutto nel minimo. L'università di Berlinguer e della Moratti prepara ingegneri incapaci di costruire ponti e case, storici medievali che ignorano il latino, fisici che confondono Einstein ed Euclide. In un disastro così totale, qualcosa di utile è naturalmente venuto alla luce. Come testimonia un'ottima inchiesta di Vladimiro Polchi pubblicata giorni fa su "Repubblica", gli studenti fuori corso sono diminuiti: cosa ovvia, se lo studio è stato ridotto a pochissimo. I laureati della laurea breve che appartengono alla facoltà di medicina (i sanitari, non i medici) trovano facilmente lavoro. Ma la colpa gravissima della Riforma Berlinguer è stata quella di trasformare l'Università in un cattivo liceo di provincia. L'Università non può accontentarsi di produrre infermieri e odontoiatri: persone utilissime; ma deve educare specialisti, studiosi di cose ardue e difficili, come quelli che l'Italia costringe ogni anno a emigrare in tutte le facoltà dell'universo. Così la Riforma Berlinguer va radicalmente riformata. Dobbiamo ripristinare i grandi corsi, lunghi sei o sette mesi, sugli argomenti fondamentali della conoscenza. Gli studenti devono tornare a leggere. Se qualcuno studia letteratura greca, o storia del pensiero economico, o storia della filosofia, tremila (non duecento) pagine di testi sono appena sufficienti. Qualche tempo fa ho letto che in Gran Bretagna il ministro dell'Istruzione progettava o progetta di abolire, nelle scuole medie e nei licei, lo studio delle lingue straniere che ormai sono perfettamente inutili (malgrado Dante, Racine, Cervantes e Goethe), visto che ormai tutti gli abitanti della terra parlano inglese. La settimana scorsa, ho appreso da "Repubblica" che il vento ardimentoso della demenza europea ha preso a soffiare anche in Germania, dove il governo ha deciso che le scuole costano troppo: quindi niente più bocciature, niente più voti, e se i voti sono bassi verranno rialzati dal preside. Consoliamoci. Ogni Paese ha il Berlinguer che si merita."

Pietro Citati


martedì 20 maggio 2008

Finanziamenti, crediti, laurea breve perché i nostri Atenei sono al collasso
Negli ultimi sessanta anni, in Italia, sono accadute molte catastrofi: alluvioni, terremoti, inondazioni. Ma la catastrofe di gran lunga più grave è stata la cosiddetta Riforma Berlinguer, immaginata otto anni fa dal governo presieduto da Romano Prodi. Gli italiani, che hanno la memoria brevissima, se ne sono dimenticati: ma gli studenti, i professori, il paese ne subiscono il terribile effetto, che andrà moltiplicandosi nei prossimi anni. Mi riferisco alle facoltà di tipo umanistico: non a quelle a carattere sopratutto tecnico. La Riforma Berlinguer ha distrutto e sta continuando a distruggere la probabilità che in Italia si formi quella che chiamiamo un'élite moderna. Non voglio ripetere cose notissime: ma senza un'élite colta e intelligente un paese non vive, non si sviluppa, non si arricchisce. Senza un'élite, un paese è votato alla rovina: specialmente nei nostri anni, quando l'attività industriale si è in buona parte trasferita in Cina o in India, dove si sta diffondendo una cultura specializzata già superiore, per certi versi, a quella italiana. Ma all'onorevole Berlinguer, circondato dal suo radiosissimo alone di gloria, non importa nulla della nostra classe dirigente.
La catastrofe si preparava da anni. Ricordo un mediocre studioso di diritto romano lamentarsi dolorosamente, in qualche raduno televisivo, della mortalità universitaria. Non riuscivo a capire. Pensai che la Peste, o il Colera, o il Tifo, o l'Aids, o Ebola, avessero spopolato i folti banchi della Sapienza. Lo specialista di diritto romano rassicurò il pubblico: no, Ebola non era arrivato fin qui. Il danno era molto più grave. Gli studenti universitari non terminavano le facoltà che avevano iniziato: innumerevoli fuori-corso languivano nei tristi corridoi delle università italiane. Il professore sbagliava. Che soltanto il venti o il trenta per cento degli studenti di lettere giungessero alla laurea era un fatto positivo. Se si fossero laureati tutti, l'Italia avrebbe conosciuto una disastrosa disoccupazione scolastica. Così, invece, decine di migliaia di giovani ritornavano a Barletta o a Fabriano o a Alba o a Sanremo: vi aprivano un negozio di verdure o di formaggi o di tartufi o una piantagione di garofani, e trascorrevano volentieri il resto della vita, con nella memoria un vago ricordo di Omero, di Saffo e di Erodoto. Mi chiedo se, alcuni anni dopo l'applicazione della Riforma Berlinguer, si possa fare qualcosa per diminuirne le conseguenze negative. Il primo fatto, generalmente riconosciuto, è che il corso minor di tre anni non serve a niente: dopo tre anni, lo studente non sa quasi nulla: non può insegnare nelle medie e nei licei; non gli resta (se ha imparato una lingua) che fare la guida turistica o lavorare in un'agenzia di viaggi, eventualmente aggiungendo ai tre anni universitari un master privato inutile e costoso.
Intanto, il complicato meccanismo di crediti e moduli, che regge l'insegnamento secondo il modello americano, ha dimostrato la propria inefficienza. Gli esami si sono triplicati: il lavoro dello studente è aumentato; salvo che egli impara pochissimo, perché non si può insegnare qualcosa di decoroso su Shakespeare o Petrarca nel corso di poche settimane. Non è possibile che La Sapienza di Roma stabilisca che, durante un modulo, uno studente non debba leggere più di 200 pagine (testi compresi), per evitare che le sue energie psico-cerebrali e quelle dei genitori e della fidanzata vengano irreparabilmente logorate ed esaurite. Il sistema dei moduli va limitato o reimmesso nel vecchio equilibrio degli esami annuali, che era molto più efficace. Forse andrebbe ricordato che l'uggioso edificio universitario, con le grandi aule squallide, i melanconici corridoi, le scale sbrecciate, ha un solo aspetto positivo: che vi si studi. Dopo i tre anni di insegnamento minore, gli studenti dovrebbero affrontare i due anni di insegnamento specialistico: dico dovrebbero, perché coloro che li hanno abbracciati sono, per ora, pochi. Dopo i due anni di specialistica, può avvenire un concorso. Chi lo vince, diventa dottorando per tre anni, e riceve un piccolo stipendio. Ma dopo i tre due tre = otto anni di studio, la sua carriera è bloccata.
Il dottorando è costretto a diventare, attraverso vari gradini, professore universitario.
Ma se, all'Università, non ci sono posti liberi? O se egli preferisce insegnare nei licei? Questo gli è severamente proibito: i dottorandi, vale a dire i più colti e intelligenti tra gli studenti italiani, non devono insegnare nei licei, che pure avrebbero bisogno di loro. C'è soltanto una possibilità. Seguire altri due anni di corsi di didattica: cosa assolutamente idiota, perché per imparare a insegnare basta un corso di due mesi, congiunto con la disposizione naturale per l'insegnamento, senza la quale nessuno diventerà mai professore. Non voglio nascondere che questo è un discorso puramente fantastico, perché per il dottorando non esistono, oggi, né posti nell'università né nei licei. Egli non troverà lavoro. Non farà niente. A meno che una vasta moria (la quale pare prevista dal nostro profetico Ministero) renda libere migliaia di cattedre.
Mi piacerebbe raccontare quali nuove cattedre l'onorevole Berlinguer e i successori e i funzionari ministeriali e i rettori di università e i presidi di facoltà e i direttori di dipartimento hanno inventato. Sappiamo che nelle università americane c'è la cattedra di gelato artigianale, di cappellini per signore, di jeans per ragazzi e ragazze, di sandali per i tropici, di computer applicati all'analisi letteraria, di retto uso dei pannolini, di bella conversazione e di corteggiamento erotico. Va benissimo. Quella non è università. Ma non sarebbe inutile ridurre radicalmente il numero delle cattedre insensate, che oggi vengono aperte nelle università italiane. Una recente circolare del Ministro Moratti prescrive che i professori universitari devono fare almeno centoventi ore annue di lezioni frontali. C'è di nuovo, almeno per me, la difficoltà di capire. Cos'è una lezione frontale? Secondo i dizionari, frontale vuol dire: relativo alla fronte come parte anatomica: con la fronte rivolta verso chi osserva: visto di fronte: che avviene nella parte anteriore di uno schieramento militare: sezione realizzata secondo piani perpendicolari all'asse dorso-ventrale: facciata di una chiesa: mensola di un caminetto: piastra di ferro che chiude il fondo di un camino: parte della briglia che passa sulla fronte di un cavallo: antico ornamento femminile (cerchietto o nastro o filo di perle): parte dell'elmo; parte di metallo o di cuoio che copre la fronte del cavallo. Infine, quasi spossato dalla fatica ermeneutica, trovai nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia) la spiegazione giusta: frontale è un metodo di insegnamento, nel quale il professore siede in cattedra, di fronte ai suoi allievi. Non amo molto l'insegnamento frontale: può essere agevolmente sostituito dalla lettura di un buon libro. La vera lezione, sebbene rivolta a non più di trenta studenti, è il cosiddetto seminario: soltanto nel seminario, compiuto in comune, il professore insegna agli studenti a leggere un testo, cercando insieme a loro le fonti e le allusioni e interpretandone le superfici e i segreti. Ma centoventi ore annuali di insegnamento frontale sono troppe: un vero professore deve leggere e studiare per conto proprio; ciò che esige infinito tempo e pazienza. Un ministro o un funzionario ministeriale o un preside pensano che questo sia inutile. È bene, invece, che un professore passi mattine e pomeriggi espletando del lavoro burocratico completamente assurdo, che il Ministero (visionario come tutti i Ministeri) gli impone. Un'altra origine di insensatezza è la distribuzione dei finanziamenti, da parte del Ministero, alle diverse università. I criteri sono molti, e non posso elencarli tutti. Basterà ricordare che la qualità della ricerca è un criterio molto meno importante di criteri esterni, come per esempio il possesso di computer. L'Università Orientale di Napoli è il luogo che, in Italia, dedica più attenzione allo studio delle civiltà orientali. Quale importanza (anche pratica) abbia, oggi, lo studio delle lingue e culture araba e cinese, non è necessario ricordare. Ma l'Università Orientale ha anche una sezione "occidentale": un professore di questa sezione ha da poco espresso la seguente opinione: l'Università deve essere più ancorata ai bisogni del territorio; vale a dire, suppongo, che l'Orientale, invece di studiare il buddismo o il manicheismo, dovrebbe dedicarsi allo studio psico- sociologico della camorra a Caserta e Castellamare di Stabia. Come è naturale, gli studenti che imparano la lingua e la letteratura persiana o turca sono meno numerosi di coloro che apprendono la letteratura italiana o inglese. Ma il Ministero provvede. Per il Ministero, non ha alcuna importanza che l'Università Orientale possegga una biblioteca di 200.000 volumi antichi, continuamente aggiornati, e che eccellenti studiosi vengano da Parigi o Tübingen a parlare ai giovani orientalisti. Ciò che è grave è che gli studenti siano relativamente pochi rispetto ai professori. L'Orientale va dunque punita per eccesso di serietà. Infatti, l'anno scorso, il Ministero dell'Istruzione ha tolto quattro milioni di euro al finanziamento dell'Orientale: una catastrofe. Così l'imprecisione, l'inesattezza, la cialtroneria, la demagogia - questo è per molti italiani la cultura moderna - si diffondono. Non saranno né imprecisi né inesatti i cinesi e gli indiani che, un giorno, verranno a colonizzare la cultura universitaria italiana.
Pietro Citati


MARTEDI 20 MAGGIO
ORE 21
VIA MASCARELLA 86
AULA 2
INGRESSO GRATUITO

sabato 17 maggio 2008

venerdì 16 maggio 2008

Chi è Mariastella Gelmini, neoministro dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca?

Mariastella Gelmini è entrata in Forza Italia sin dalle origini del movimento politico come semplice militante, ne è diventata in pochi anni coordinatrice regionale, in una regione determinante come la Lombardia, non senza la "benedizione" di Roberto Formigoni. A questo ha affiancato una carriera nelle istituzioni, dal consiglio comunale di Desenzano sino, nel 2006, allo scranno del parlamento. Molto vicina ad ambienti cattolici, la Gelmini non si è mai occupata direttamente di istruzione ed è anche alquanto giovane (35 anni), secondo ambienti della stessa maggioranza, forse un po’ troppo.

In una proposta di legge presentata lo scorso 5 febbraio (a governo Prodi già caduto, insomma suona un po’ come un cartellino di prenotazione di quelli che si mettono al ristorante per i posti riservati) si può già ben leggere cosa pensa il neoministro della scuola e dell'università del Bel Paese: "rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente", "la promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l'adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo" che pubblicherà "annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili" e attraverso "il riconoscimento alle famiglie di voucher formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private". E poi ancora la valorizzazione del merito attraverso la eliminazione di "ogni automatismo nelle progressioni retributive e di carriera degli insegnanti" ed anche "attraverso la chiamata nominativa da parte delle autonomie scolastiche su liste di idonei, con un periodo di prova di due anni scolastici propedeutico all'assunzione a tempo indeterminato" e dare "la possibilità alle singole istituzioni scolastiche di stipulare con singoli docenti contratti integrativi di tipo privatistico".
In pratica : assunzioni a chiamata su elenco di idonei , potere ai presidi di gestire il personale decidendo dopo due anni di "prova" se il docente sia adatto (il che detto da una ciellina significa molto,forse troppo...), fondi ineguali per le scuole(che essendo competenza regionale saranno già colpite dal federalismo fiscale) in base ad una valutazione da parte di terzi (resta da capire che tipo di valutazione e affidata a chi), assunzione con contratti particolari e eliminazione dell'"aumento per anzianità" e in ultimis ,una forzista bresciana amica di Formigoni non poteva resistere, buoni scuola per le private...

Pensate che peggio di cosi non possa andare e il vostro futuro è seriamente minacciato da questa donna? Vi state pizzicando nella speranza che questo sia solo un incubo? Forse sarà meglio che sappiate anche che la Gelmini è talmente favorevole al numero chiuso da dire che dovranno esserci "esami preliminari obbligatori per l'accesso alle università pubbliche e private, anche ove non sia previsto il numero programmato per le iscrizioni ai corsi di laurea, al fine di valutare la preparazione di base e i successivi progressi degli studenti" e che anche per i docenti che intendono accedere all'insegnamento universitario si prospetta "la progressiva abolizione degli incarichi a tempo indeterminato" e la revisione dei " meccanismi di reclutamento, mediante l'istituzione progressiva della chiamata nominale da parte delle facoltà universitarie".

Se il buon giorno si vede dal mattino...che dire... buonanotte e sogni d'oro...

Certo queste non sono le pratiche che possono servire a costruire quella università luogo di ricerca e di crescita culturale collettiva , quella università che vuole chi come noi quotidianamente sogna,studia e lavora , quella università che stimoli le migliori energie e rafforzi le competenze ed i talenti del nostro paese, quella università che sogniamo e a cui tutti abbiamo diritto .

Angelo


martedì 13 maggio 2008

IL VERO DEGRADO IN PIAZZA VERDI
Nelle scorse serate hanno fatto la loro comparsa in piazza verdi alcuni balilla con cappellino azzurro, impegnati in una ronda "contro il degrado" e per "la sicurezza".
Questi provocatori fingono di non sapere che il vero degrado di Bologna sono gli affitti allucinanti e in nero che siamo costretti a pagare ogni mese, sono la mancanza di aule studio e di luoghi di socialità serali, sono i costi proibitivi di libri e dispense. Il vero degrado di Bologna sono coloro che credono di risolvere i problemi sociali con misure di polizia, sono i fascisti che fanno ronde in piazza verdi sperando di provocare scontri in modo da criminalizzare ogni forma di dissenso.
Lottare per una Bologna sicura significa chiedere al comune di garantire affitti più bassi e in regola, significa lottare per ottenere l'apertura serale delle nostre facoltà, come luoghi di studio e di socialità, significa pretendere un vero diritto allo studio per tutti. Lottare per una Bologna sicura significa rifiutare la criminalizzazione degli studenti fuorisede, rifiutare la logica di chi vorrebbe rispondere a manganellate alle nostre aspirazioni e ai nostri bisogni. Lottare per una Bologna sicura è ricordare con una grassa risata ai balilla con il cappellino azzurro che sono soltanto quattro patetici coglioni.

Rosso Malpelo-Sinistra Universitaria

la SINISTRA UNIVERSITARIA e il CUSB
organizzano per mercoledì 14 maggio
L'UNIVERSITÀ TRA SPORT E CITTÀ
saranno organizzati tornei di tennis da tavolo, orientiring, corsa veloce, scacchi e basket a tre in piazza Verdi, piazza Puntoni, piazza Scaravilli e lungo via Zamboni.
La manifestazione è gratuita ed aperta a tutti, studenti e cittadini
per info scriveteci: rossomalpelosu@gmail.com

sabato 10 maggio 2008


Rosso Malpelo-Sinistra Universitaria presenta:
ANIMAL HOUSE

martedì 13 maggio alle ore 21
aula 2 di via mascarella 86

ingresso gratuito

lunedì 5 maggio 2008


Grazie a quanti ci hanno sostenuto firmando la petizione in questi mesi siamo riusciti ad ottenere, a partire dall'8 maggio, l'apertura serale delle aule di via Centotrecento per un giorno alla settimana, il giovedì. E' il primo passo verso la conquista di un diritto dello studente che si realizza grazie al lungo lavoro dei rappresentanti degli studenti di Rosso Malpelo - Sinistra Universitaria.
Non accettiamo che dopo la chiusura delle aule studio di via belle arti e via acri (aperte fino alle 23) non vi siano luoghi di studio serali. Studiare la sera è fondamentale per chi lavora o per chi vuole durante il giorno frequentare le lezioni, e l'Ateneo non ce lo può negare chiudendo alle 18.45.
Possiamo assicurarvi che non ci fermeremo qui e che pretenderemo l'apertura anche negli altri giorni della settimana poiché, concedendoci l'apertura una sera, la Facoltà ha dimostrato che ciò è possibile e non soltanto la speranza di moltissimi!

Rosso Malpelo - Sinistra Universitaria presenta:
LE MANI SULLA CITTA'
martedì 6 maggio ore 21 aula 2 di via Mascarella 86
ingresso gratuito