sabato 31 maggio 2008
giovedì 29 maggio 2008
martedì 27 maggio 2008
POCHI MA BUONI - l'Università dei pari
Scoraggiati e frustrati di fronte a questo nuovo assalto da parte dei dirigenti universitari nei nostri confronti, sciocco quanto più immotivato, ci vediamo costretti a ripetere nuovamente: ” No all’aumento delle tasse”.
Siamo attoniti di fronte al nichilismo, al cinismo, alla mediocre politica perseguita da cosiddetti dirigenti che per sopperire ai loro sbagli si accaniscono contro di noi e le nostre famiglie.
Siamo ancora più sbalorditi, in quest’occasione, perché costatiamo sempre più una linea politica che via via si definisce, che con il passare del tempo prende sempre più sostanza, che si perfeziona mano a mano: “La creazione di un ateneo di pari”.
Notare che non diciamo un ateneo di elite ma non di pari volendo con questo sottolineare come ci sia una politica che miri principalmente a selezionare gli iscritti non in base ai loro meriti o alla loro capacità (come dovrebbe essere in un’università di elite) ma semplicemente in base al loro reddito, al loro censo, alla loro capacità di spendere, di acquistare, di sostenere il futuro dell’ateneo.
Questo sistema avrà il merito di diminuire gli iscritti ma di mantenere un adeguato ricavo dalle iscrizioni, di avere una più facile gestione del corpo studenti, un miglioramento della qualità della didattica e una più felice convivenza con la città; tutto questo però è solamente un sogno di cartapesta, un desiderio criminale che sulle ambizioni di qualche docente mette a rischio la vita e il futuro di molti giovani e molti studenti.
Perché un’università di pochi, è contro ogni concetto umanistico e culturale di Università, concepito come centro di studio e di discussione alla pari tra docenti e studenti; l’Università deve stimolare la conoscenza, approfondirla, divulgarla; deve dare la possibilità a chiunque se ne ha le capacità di permettersi un’istruzione superiore; deve farsi carico di offrire ai suoi proprietari una formazione degna di questo nome, che sia alla pari dei paesi europei e con essi competitivi.
L’Università è nostra dobbiamo iniziare a ricordarcelo; non di qualche ministro né di qualche grigio burocrate, che pensa soltanto di entrate e costi, il futuro siamo noi, l’ateneo è lì per soddisfare le nostre ambizioni di sapere, per darci una preparazione adeguata che saremo noi a decidere se soddisfacente o meno.
Jacopo
venerdì 23 maggio 2008
Gli insegnati di religione cattolica sono privilegiati anche economicamente
Ricordiamo che la questione degli insegnanti di religione cattolica si è creata nel nostro Paese col Concordato fascista del ’29. Da allora, si è andata configurando una categoria particolarissima di docenti designati dalla Chiesa Cattolica, ma pagati dallo Stato, quindi con i soldi di tutti gli italiani. Questa situazione, continuata invariata con l’avvento della Repubblica, è stata ribadita nel 1984 in occasione della revisione del Concordato dall’allora capo di governo Bettino Craxi, desideroso d'ingraziarsi una Chiesa cattolica in declino di consensi nella società civile.
Col Concordato dell' '84, l'insegnamento della religione cattolica perdeva però quella funzione di "coronamento dell'istruzione" riconosciutagli (almeno formalmente) dal regime fascista, per diventare facoltativo. Da allora, nonostante e contro l'opera di ministri e funzionari statali, più ossequiosi al Vaticano che alla laicità dello Stato, il principio della facoltatività si è definitivamente affermato, anche se è stato necessario per questo – nell’ '89 e nel 91 – il pronunciamento della Suprema Corte Costituzionale, che ha finalmente stabilito che quanti non volessero avvalersi dell'insegnamento della “Religione” non fossero costretti a frequentare "materie alternative" o a "studiare individualmente" durante l’ora in cui altri compagni di classe usufruivano dell’insegnamento religioso. Tuttavia, le azioni di favoreggiamento dei nostalgici della Religione di Stato non sono state mai dismesse, e ancora oggi capita di dover sprecare energie contro i velleitari tentativi di far valere l’insegnamento religioso per determinare promozioni e bocciature o per le attribuzioni di punteggio del credito scolastico in occasione degli scrutini finali.
Essendo facoltativo l'insegnamento della religione cattolica, la quantità dei docenti chiamati ad impartirlo è legato alle richieste di chi se ne avvalga, e poiché per prevedere la presenza di un insegnante di religione può bastare anche un alunno per classe, appare chiaro come il numero di questi docenti sia svincolato dal rapporto insegnanti-alunni valido per tutti gli altri docenti della scuola statale che hanno classi di circa trenta studenti. Il mercato del lavoro degli insegnanti di “Religione” allora è rimasto abbastanza stabile, nonostante siano diminuiti, in alcune realtà anche sensibilmente, il numero degli studenti “avvalentisi”. Un mercato che è tutto nelle mani della Chiesa romana perché lo Stato italiano, come abbiamo detto, accorda al Vaticano il privilegio di designare gli insegnanti di religione.
Così non il diritto italiano, ma quello canonico regola la materia:
"All'autorità della Chiesa è sottoposta l'istruzione e l'educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo di vari strumenti di comunicazione sociale; spetta alla Conferenza episcopale emanare norme generali in questo campo d'azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su esso" (Diritto Canonico, canone 804)
"L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti di religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica. .È diritto dell'Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedono motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi" (Diritto Canonico, canone 805).
Pertanto, l'insegnante di religione cattolica diviene un "prescelto" solo se completamente organico alla ideologia della Chiesa, che ne controlla “dottrina e costumi”.
Un principio questo, che non ha subito variazione alcuna nella legge sull’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica approvata il 15 luglio 2003, in virtù della quale lo Stato italiano, non solo continuerà ad obbedire a quanto la Chiesa decide, ma addirittura dovrà garantire che questo personale docente assai particolare vada ad insegnare materie diverse dalla religione cattolica. Il meccanismo introdotto dalla legge, infatti, prevede che qualora il Vescovo competente territorialmente ritenga questi insegnanti, a sua insindacabile decisione, non più adatti all'insegnamento cattolico, potrà esigere che vengano rimossi, ma poiché essi sono ormai a tutti gli effetti titolari di un contratto a tempo indeterminato con lo Stato, andranno a coprire le cattedre delle materie obbligatorie per tutti, alle quali gli altri docenti di ruolo hanno avuto accesso per le vie regolari (selettivi concorsi a cattedra, titoli, abilitazioni…). Vale appena ricordare, che molti dei docenti di religione cattolica non sono neppure laureati.
Si è introdotto, così, un vero e proprio canale di reclutamento del personale della scuola parallelo a quello Statale, per accedere al quale bisognerà essere "eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana". Un forte condizionamento etico, dunque, in totale contraddizione con i principi Costituzionali che garantiscono libertà di pensiero e di coscienza, nonché uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Inoltre, a voler pensare malignamente: ogni anno la Chiesa potrebbe decidere di esigere la rimozione dei propri insegnanti per incaricarne altri, costringendo così lo Stato a ricollocarli.
A questo punto il reclutamento del personale della scuola sarebbe sempre più nelle mani della Chiesa con la conseguente clericalizzazione di tutte le istituzioni scolastiche.
di Maria Mantello
mercoledì 21 maggio 2008
L'università in guerra con Omero e Dante
"Come ogni anno, la produttività italiana è diminuita di qualche punto. Pochi anni fa, era lievemente inferiore a quella inglese, poi a quella francese e tedesca, poi a quella spagnola, poi a quella greca, poi a quella boema, poi a quella polacca, poi a quella bulgara, poi a quella moldava; e quest'anno si discute seriamente se sarà superiore o inferiore a quella del Ghana. Pare che abbiamo buone speranze. Tutti sanno qual è la ragione: la scuola e in primo luogo l'Università. E' il vero problema italiano: infinitamente più grave dell'inflazione, del tenore di vita, del bilancio dello stato, dell'Alitalia, dell'immigrazione clandestina, dell'immondezza che ha trasformato Napoli in una elegantissima pattumiera sotto il cielo. Nel dopoguerra, tutti i ministri della Pubblica Istruzione sono stati mediocri. Ma un tempo, i bigi e saggi ministri democristiani non osavano nemmeno sforare il vecchio edificio scolastico: sapevano che era pieno di crepe; e che un solo colpo di piccone avrebbe rischiato di distrugegre l'Università, il liceo, le medie, le elementari. Poi, non so come, presero coraggio: la parola 'riforma' li incantava: risvegliava in loro una specie di euforia e di ebbrezza, come se scrivere centinaia di leggi incomprensibili facesse conoscere loro la vera vita, - quella vita ardente che non avevano mai conosciuto. Così cominciarono le allegre catastrofi: quella della scuola elementare, a causa della moltiplicazione della maestra di base. Quella dell'esame di riparazione; e soprattutto (niente li affascina tanto) l'invenzione delle cattedre universitarie grottesche, come "Sociologia del gatto siamese" o il "Il computer applicato alla letteratura". Ma il vero, immane disastro, paragonabile a un terremoto del decimo grado della scala Mercalli, doveva ancora giungere. Otto anni fa, l'onorevole Luigi Berlinguer, circondato da una schiera di pedagogisti e seguito da Letizia Moratti, diede solennemente il primo colpo di piccone. Sono passati appena otto anni. E del vecchio edificio scolastico non resta più niente: tutte le tegole al suolo, muri maestri e pilastri divelti dal buldozer, mattoni in briciole, fango, poltiglia e, sopra l'immensa rovina, una fittissima nube di tenebra. Oggi, gli studenti universitari non leggono più: seguono piccoli corsi di poche settimane, che si susseguono vorticosamente; e alla fine, dopo aver saltabeccato da un piccolo corso ad un altro piccolo corso, giacciono a terra sfiniti, senza aver appreso assolutamente nulla. Come libri di testo, non adottano tutta la Divina Commedia, tutta l'Odissea, e Ernst Robert Curtius e Santo Mazzarino, come si faceva nel vecchio edificio scolastico: ma miserabili librettucci, che raccontano in cento pagine la Storia delle Crociate o i Moralisti classici. Testi, niente, perché leggere Dante o l'Odissea può riuscire pericoloso per le anime dei ragazzi innocenti. I pochi studenti dotati sono (giustamente) puniti: dopo aver studiato per otto anni, debbono affrontarne due di inutilissima pedagogia, prima di poter insegnare nelle medie o nei licei. Poi il ciclo si ripete all'infinito: pessimi professori universitari generano professori di liceo ancora peggiori, e questi allevano studenti per i quali scrivere una pagina in italiano è molto più arduo che ascendere l'Himalaya. Berlinguer e i suoi amici immaginavano che la socità moderna, o società di massa, o società globale, fosse il regno dell'immensa faciloneria, governata da un sovrano idiota. Leggere è inutile, studiare inutile, conoscere i classici antichi e moderni inutilissimo; basta ignorare l'italiano e blaterare sciocchezze. In realtà, la società moderna esige studi difficilissimi, molto più difficili di quelli di cinquant'anni fa: richiede un'assoluta precisione mentale, una cultura che abbraccia molte specializzazioni, il dono del pensiero analogico, e quello di scoprire il tutto nel minimo. L'università di Berlinguer e della Moratti prepara ingegneri incapaci di costruire ponti e case, storici medievali che ignorano il latino, fisici che confondono Einstein ed Euclide. In un disastro così totale, qualcosa di utile è naturalmente venuto alla luce. Come testimonia un'ottima inchiesta di Vladimiro Polchi pubblicata giorni fa su "Repubblica", gli studenti fuori corso sono diminuiti: cosa ovvia, se lo studio è stato ridotto a pochissimo. I laureati della laurea breve che appartengono alla facoltà di medicina (i sanitari, non i medici) trovano facilmente lavoro. Ma la colpa gravissima della Riforma Berlinguer è stata quella di trasformare l'Università in un cattivo liceo di provincia. L'Università non può accontentarsi di produrre infermieri e odontoiatri: persone utilissime; ma deve educare specialisti, studiosi di cose ardue e difficili, come quelli che l'Italia costringe ogni anno a emigrare in tutte le facoltà dell'universo. Così la Riforma Berlinguer va radicalmente riformata. Dobbiamo ripristinare i grandi corsi, lunghi sei o sette mesi, sugli argomenti fondamentali della conoscenza. Gli studenti devono tornare a leggere. Se qualcuno studia letteratura greca, o storia del pensiero economico, o storia della filosofia, tremila (non duecento) pagine di testi sono appena sufficienti. Qualche tempo fa ho letto che in Gran Bretagna il ministro dell'Istruzione progettava o progetta di abolire, nelle scuole medie e nei licei, lo studio delle lingue straniere che ormai sono perfettamente inutili (malgrado Dante, Racine, Cervantes e Goethe), visto che ormai tutti gli abitanti della terra parlano inglese. La settimana scorsa, ho appreso da "Repubblica" che il vento ardimentoso della demenza europea ha preso a soffiare anche in Germania, dove il governo ha deciso che le scuole costano troppo: quindi niente più bocciature, niente più voti, e se i voti sono bassi verranno rialzati dal preside. Consoliamoci. Ogni Paese ha il Berlinguer che si merita."
Pietro Citati
martedì 20 maggio 2008
La catastrofe si preparava da anni. Ricordo un mediocre studioso di diritto romano lamentarsi dolorosamente, in qualche raduno televisivo, della mortalità universitaria. Non riuscivo a capire. Pensai che la Peste, o il Colera, o il Tifo, o l'Aids, o Ebola, avessero spopolato i folti banchi della Sapienza. Lo specialista di diritto romano rassicurò il pubblico: no, Ebola non era arrivato fin qui. Il danno era molto più grave. Gli studenti universitari non terminavano le facoltà che avevano iniziato: innumerevoli fuori-corso languivano nei tristi corridoi delle università italiane. Il professore sbagliava. Che soltanto il venti o il trenta per cento degli studenti di lettere giungessero alla laurea era un fatto positivo. Se si fossero laureati tutti, l'Italia avrebbe conosciuto una disastrosa disoccupazione scolastica. Così, invece, decine di migliaia di giovani ritornavano a Barletta o a Fabriano o a Alba o a Sanremo: vi aprivano un negozio di verdure o di formaggi o di tartufi o una piantagione di garofani, e trascorrevano volentieri il resto della vita, con nella memoria un vago ricordo di Omero, di Saffo e di Erodoto. Mi chiedo se, alcuni anni dopo l'applicazione della Riforma Berlinguer, si possa fare qualcosa per diminuirne le conseguenze negative. Il primo fatto, generalmente riconosciuto, è che il corso minor di tre anni non serve a niente: dopo tre anni, lo studente non sa quasi nulla: non può insegnare nelle medie e nei licei; non gli resta (se ha imparato una lingua) che fare la guida turistica o lavorare in un'agenzia di viaggi, eventualmente aggiungendo ai tre anni universitari un master privato inutile e costoso.
Intanto, il complicato meccanismo di crediti e moduli, che regge l'insegnamento secondo il modello americano, ha dimostrato la propria inefficienza. Gli esami si sono triplicati: il lavoro dello studente è aumentato; salvo che egli impara pochissimo, perché non si può insegnare qualcosa di decoroso su Shakespeare o Petrarca nel corso di poche settimane. Non è possibile che La Sapienza di Roma stabilisca che, durante un modulo, uno studente non debba leggere più di 200 pagine (testi compresi), per evitare che le sue energie psico-cerebrali e quelle dei genitori e della fidanzata vengano irreparabilmente logorate ed esaurite. Il sistema dei moduli va limitato o reimmesso nel vecchio equilibrio degli esami annuali, che era molto più efficace. Forse andrebbe ricordato che l'uggioso edificio universitario, con le grandi aule squallide, i melanconici corridoi, le scale sbrecciate, ha un solo aspetto positivo: che vi si studi. Dopo i tre anni di insegnamento minore, gli studenti dovrebbero affrontare i due anni di insegnamento specialistico: dico dovrebbero, perché coloro che li hanno abbracciati sono, per ora, pochi. Dopo i due anni di specialistica, può avvenire un concorso. Chi lo vince, diventa dottorando per tre anni, e riceve un piccolo stipendio. Ma dopo i tre due tre = otto anni di studio, la sua carriera è bloccata.
sabato 17 maggio 2008
venerdì 16 maggio 2008
Chi è Mariastella Gelmini, neoministro dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca?
Mariastella Gelmini è entrata in Forza Italia sin dalle origini del movimento politico come semplice militante, ne è diventata in pochi anni coordinatrice regionale, in una regione determinante come la Lombardia, non senza la "benedizione" di Roberto Formigoni. A questo ha affiancato una carriera nelle istituzioni, dal consiglio comunale di Desenzano sino, nel 2006, allo scranno del parlamento. Molto vicina ad ambienti cattolici, la Gelmini non si è mai occupata direttamente di istruzione ed è anche alquanto giovane (35 anni), secondo ambienti della stessa maggioranza, forse un po’ troppo.
In una proposta di legge presentata lo scorso 5 febbraio (a governo Prodi già caduto, insomma suona un po’ come un cartellino di prenotazione di quelli che si mettono al ristorante per i posti riservati) si può già ben leggere cosa pensa il neoministro della scuola e dell'università del Bel Paese: "rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente", "la promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l'adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo" che pubblicherà "annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili" e attraverso "il riconoscimento alle famiglie di voucher formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private". E poi ancora la valorizzazione del merito attraverso la eliminazione di "ogni automatismo nelle progressioni retributive e di carriera degli insegnanti" ed anche "attraverso la chiamata nominativa da parte delle autonomie scolastiche su liste di idonei, con un periodo di prova di due anni scolastici propedeutico all'assunzione a tempo indeterminato" e dare "la possibilità alle singole istituzioni scolastiche di stipulare con singoli docenti contratti integrativi di tipo privatistico".
In pratica : assunzioni a chiamata su elenco di idonei , potere ai presidi di gestire il personale decidendo dopo due anni di "prova" se il docente sia adatto (il che detto da una ciellina significa molto,forse troppo...), fondi ineguali per le scuole(che essendo competenza regionale saranno già colpite dal federalismo fiscale) in base ad una valutazione da parte di terzi (resta da capire che tipo di valutazione e affidata a chi), assunzione con contratti particolari e eliminazione dell'"aumento per anzianità" e in ultimis ,una forzista bresciana amica di Formigoni non poteva resistere, buoni scuola per le private...
Pensate che peggio di cosi non possa andare e il vostro futuro è seriamente minacciato da questa donna? Vi state pizzicando nella speranza che questo sia solo un incubo? Forse sarà meglio che sappiate anche che la Gelmini è talmente favorevole al numero chiuso da dire che dovranno esserci "esami preliminari obbligatori per l'accesso alle università pubbliche e private, anche ove non sia previsto il numero programmato per le iscrizioni ai corsi di laurea, al fine di valutare la preparazione di base e i successivi progressi degli studenti" e che anche per i docenti che intendono accedere all'insegnamento universitario si prospetta "la progressiva abolizione degli incarichi a tempo indeterminato" e la revisione dei " meccanismi di reclutamento, mediante l'istituzione progressiva della chiamata nominale da parte delle facoltà universitarie".
Se il buon giorno si vede dal mattino...che dire... buonanotte e sogni d'oro...
Angelo
martedì 13 maggio 2008
Rosso Malpelo-Sinistra Universitaria